Fonte: www.corrieredellacalabria.it

di Pablo Petrasso

Sono passati due decenni dall’ultima volta in cui il centrosinistra ha vinto un collegio uninominale in Calabria. È un’iperbole: buona parte della responsabilità è del Porcellum, (pessima) legge elettorale che ha soppresso i collegi uninominali tra il 2005 e il 2018.

Il centrosinistra è riuscito a fare l’en plein di sconfitte subito dopo, quando il Rosatellum ha ripristinato, per un terzo dei parlamentari, l’elezione diretta. Da quel momento in poi – le due tornate del 2018 e del 2022 – il Pd, che di quel centrosinistra ha raccolto il testimone, ha collezionato soltanto sconfitte “maggioritarie”, aggrappandosi al proporzionale per piazzare qualche parlamentare (Bruno Bossio, Viscomi e Stumpo nel 2018, ancora Bruno Bossio e Stumpo con l’aggiunta di Irto nella tornata dello scorso 25 settembre). Tanto per intenderci, quando l’area progressista vinceva gli ultimi collegi il Pd neppure esisteva (c’erano i Ds), Giancarlo Pittelli era un parlamentare lontano quasi quattro lustri dai suoi guai giudiziari, alle elezioni correvano Democrazia Europea (con un discreto successo in Calabria) e la lista Di Pietro.  Mario Oliverio stravinceva il collegio di Rossano. Dorina Bianchi – ai tempi esponente della Casa delle Libertà – riusciva a battere di poche decine di voti Rocco Antonio Gaetani nel collegio di Crotone. Tonino Gentile superava di quasi 10mila voti Achille Occhetto dando vita a una trama politica trasferita nel volume cult di Paolo Palma “Doppio gioco all’ombra dell’Ulivo”. E il centrosinistra eleggeva nei collegi da “dentro o fuori” Domenico Pappaterra, Agazio Loiero, Gigi Meduri, Mario Oliverio e Domenico Bova (Camera) assieme a Cesare Marini e Nicodemo Filippelli (Senato). Nomi capaci – lo dicono i fatti – di catalizzare il consenso. Ere geologiche fa: c’è stato un tempo in cui il fronte riformista che poi si sarebbe trasformato nel Partito democratico aveva ancora una vocazione maggioritaria e la metteva in pratica. Nelle ultime due competizioni l’uninominale è tornato, i risultati favorevoli ai dem no: hanno perso 19 collegi su 19 (sette nell’ultima tornata, dodici in quella passata). Non vale, ai fini dell’analisi, l’osservazione che l’ondata dei Cinquestelle nel 2018 abbia travolto tutti i partiti tradizionali. Argomento insufficiente a giustificare il tonfo del Pd, visto che il centrodestra, seppure ridimensionato nelle percentuali al proporzionale, quattro anni fa riuscì a portare a casa due collegi: Gioia Tauro con Francesco Cannizzaro e Vibo Valentia con Wanda Ferro. Con una circostanza aggravante: in tutti gli uninominali i candidati del centrosinistra sono arrivati terzi, mai realmente in gioco per la vittoria finale. Miglior risultato quello di Bruno Censore, 25% nel collegio vinto da Ferro, che giocava peraltro fuoricasa. “Zero tituli” anche domenica scorsa, con la quota del 20% superata soltanto nel collegio senatoriale Calabria sud da Domenico Battaglia – arrivato secondo a distanza siderale da Cannizzaro – e da Giusy Iemma a Catanzaro, ma alla Camera. Un disastro sistemico, che prescinde dai segretari e anche dai buoni segnali arrivati a livello locale con le vittorie di coalizione nelle Comunali di Cosenza e Catanzaro. Le strategie a livello nazionale si ripercuotono sulla dirigenza locale (che a volte li subisce), i posti si blindano a Roma, ma il famigerato territorio non può contare – lo dicono i risultati – su donne e uomini capaci di bucare lo schermo. O la scheda. Le correnti e i pacchetti di tessere aiutano a trovare qualche buona collocazione romana. Ma per vincere bisogna prendere i voti. Esercizio molto diverso.

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