Ricorre quest’anno il 31° anniversario del “dies natalis” di don Tonino Bello e il 20 aprile è una data indimenticabile per gli amici dell’amato Pastore, profeta di pace.

E sono, siamo tanti, sparsi ormai in ogni dove ma capaci di ritrovarci intorno al suo ricordo, alla sua parola, alla Parola. Viviamo tempi difficili visto che ci siamo ormai abituati alla guerra, tornata ad essere percepita come giusta ed inevitabile, ad essere tollerata, ad essere pensata come strumento necessario per il progredire dell’umanità, ad essere ritenuta fondamentale per il futuro delle democrazie. Ed è proprio di pace contro la guerra che parla l'articolo che ora vi proponiamo

di Tonino Dell'Olio in “Mosaico di pace” dell’aprile 2024

Scriverti, caro don Tonino, è tutt’altro che un esercizio di retorica che si ritualizza ad ogni tuo anniversario. È piuttosto un’esigenza. È insopprimibile l’urgente necessità che ogni artigiano di pace avverte come traboccamento di dolore e sofferenze, talvolta di disperazione. “Abbiate il cuore vicino e i battiti lontani”, così ci hai insegnato a vivere i nostri sentimenti all’unisono col dolore del mondo. E ora quei battiti sono nella Striscia di Gaza come il 7 ottobre hanno vissuto gli ultimi battiti nel petto delle vittime dei kibutzim che hanno sempre creduto nella più pacifica delle convivenze possibili. Ora quei battiti sono in Ucraina e al Crocus City Hall di Mosca, a Portau-Prince come a Butembo e l’elenco potrebbe proseguire – una lacrima dopo l’altra – come una litania. Il mondo è in ginocchio. E non sempre per pregare. La nostalgia della tua presenza non è rimpianto romantico ma sete, semplicemente sete di senso per comprendere come è stato possibile piegarsi al simulacro della guerra piuttosto che ridurlo in polvere come fece Mosè con il vitello d’oro. Nel Libro dell’Esodo si legge che “lo frantumò fino a ridurlo in polvere, ne sparse la polvere nell’acqua e la fece trangugiare agli Israeliti”. Sì, forse abbiamo bisogno di una cura omeopatica di questo tipo, una sorta di vaccino per vincere la pandemia della violenza. Si afferma, si legittima e si radica nella comunità internazionale il dogma della guerra come giusta, come inevitabile, come unica via percorribile per dirimere i conflitti, risolvere le contese, affermare valori sacri come la libertà dei popoli e i diritti d’ogni persona. Non vi è voce che si alzi contro la schizofrenia dilagante che trasforma i mari in cimiteri di disperati e muove potenti mezzi armati di potenti governi a scortare le merci in altri mari. Sembra di ritornare a quel Midrash della Torre di Babele: “Ormai occorreva più di un anno per arrivare in cima, e un anno esatto per tornare giù. Se un uomo si feriva o cadeva da quell’altezza nessuno ci faceva caso, ma se si rompeva o andava perduto un mattone tutti piangevano perché sarebbero dovuti passare più di due anni prima di poterlo sostituire”. Le uniche facce giulive sono quelle degli industriali delle armi, imprenditori di morte, generatori di lutti. Tu li avresti definiti “artefici dell’antigenesi”. Tu che in quel meriggio del 1990, nella sala stampa di Montecitorio, presentando il progetto di legge per regolare il commercio delle armi che sarebbe diventata la Legge 185, dicesti: “Fosse per me questa legge avrebbe un solo articolo: si fa divieto in tutto il territorio nazionale di costruire e commercializzare ogni tipo di arma”. Vedessi oggi come stanno operando nell’ombra tra imprenditori e rappresentanti delle istituzioni per allargare le maglie di quelle norme! E questo è niente di fronte alla proposta di imputare alla spesa per la Difesa più del 2% del Pil! Solitaria si leva la voce di un Papa a cui sembra che tu abbia prestato le parole e che, per questo, è fatto bersaglio di ogni invettiva, tanto sui social, quanto sulla carta stampata, tanto nei Palazzi che in talune sagrestie. Caro don Tonino, abbiamo bisogno delle tue parole intrise di poesia e profezia che sanno parlare ai cuori e, per questo, ti chiediamo di spargerle dal cielo come semi. D’altra parte quando ci chiedesti di dare vita alle pagine di questo Mosaico di pace ci pregasti – quasi come un giuramento – di non tirarci indietro perché, dicesti: “Le parole non sono mai inutili, creano, generano, danno vita, e Mosaico di pace deve diventare terreno fertile”. Per questo, noi che ci rivolgevamo a te già prima che ci dessero la licenza di poterti “venerare”, ti chiediamo di aiutarci a dare respiro alla speranza, di credere nell’alba. Ti immaginiamo alla porta del Paradiso ad accogliere ogni morto di stenti di Gaza, ogni ucciso dalla follia putrida delle armi, ogni morto sul lavoro, ogni migrante dai sogni infranti e tu li abbracci uno per uno, li consoli, li apri alla verità della contemplazione di quella casa nuova. Noi ti invochiamo come popolo della pace perché ti sentiamo sempre vicino, capomastro più che architetto dei nostri cantieri e da queste pagine ti abbracciamo.

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