Fonte: L'Osservatore Romano di Isabella Piro

Care Amina e Aisha, vi chiameremo così perché i vostri veri nomi non li conosciamo. Vi dobbiamo chiedere perdono. Perdono per l’indifferenza globalizzata che vi ha fatto morire di sete nel deserto, al confine tra la Libia e la Tunisia.

Vi dobbiamo chiedere perdono perché, come umanità, abbiamo distolto lo sguardo da voi, una madre e una figlia di circa 6 anni, due persone migranti che cercavano solo un futuro migliore, o almeno possibile. Vi dobbiamo chiedere perdono perché nessuno vi ha teso la mano mentre percorrevate l’ultimo tratto di deserto che conduce al mar Mediterraneo. Da lì, sareste salpate su un barcone per cercare di raggiungere le coste dell’Europa. Un “viaggio della speranza” anche quello, ma pur sempre una speranza. E invece nessuno vi ha aiutate e voi siete crollate a terra, una accanto all’altra, la bocca riarsa dalla sete e dalla sabbia. Due vite infrante esposte alla furia arroventata del sole. Neanche un panno a coprire i vostri volti. L’unico conforto è stato quello di un cespuglio che vi ha offerto uno spicchio d’ombra. La natura è stata più pietosa dell’uomo. Vi dobbiamo chiedere perdono perché i vostri corpi esanimi sono rimasti per diverso tempo abbandonati, prima che un altro migrante li segnalasse alle guardie di frontiera e venissero trasferiti in territorio libico. Vi dobbiamo chiedere perdono anche a nome della politica che cerca costantemente soluzioni al dramma delle migrazioni, ma non sembra ancora averle trovate. Vi chiediamo perdono. E poi restiamo in silenzio. Pieni di vergogna.

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