di Gennaro De Cicco

Per il poeta satirico Salvatore Braile, Francesco Gencarelli “risulta essere in paese il solo interessato al bene del suo popolo nel civico consesso di galantuomini e notabili del luogo”. E in alcuni suoi versi scrive: Si ngudin çë se tundit, ndorrì se bie martjeli, per të mirat e katundit është vetim Xhenkarelli … (forte e temprata incudine contro tanti martelli pel ben del suo popolo, sta sol Gencarelli).

 Gencarelli eletto nel Consiglio Provinciale di Cosenza nel 1914, vi si distinguerà per le sue capacità dialettiche e per la concretezza operativa delle sue proposte, fino a diventarne il Presidente. Il suo è un programma progressista, incentrato su tematiche concrete e sui rapporti tra centro e periferia dello Stato. Dal suo osservatorio di San Demetrio Corone, come un Macchiavelli in periferia - scrive lo storico prof. Antonio D. Cassiano nel suo libro Fascismo e antifascismo nella Calabria albanese - Icsaic, 2016, “scruta con costanza e sa leggere la realtà politica e culturale, nazionale e internazionale, senza intromettersi nelle meschinità paesane”. Il suo impegno politico è profuso per la rinascita della Calabria e si concretizza nella riforma dell’assetto fondiario. Pone, quindi, le basi per una “Calabria rigenerata”. Per lui non è sufficiente risanare solo il latifondo, ma bisogna costruire strade, ferrovie, opere idrauliche per bonificare il territorio. Si schiera contro l’immobilismo del blocco agrario e dà corso ad un’azione politica, “concretamente operosa e rinnovatrice, che non si fermi soltanto a sanare i guasti del territorio, ma insieme, ad inaugurare una stagione politica autenticamente liberale e democratica”. Francesco Gencarelli, negli anni convulsi, dopo la prima guerra mondiale, non si farà vincere né dalle lusinghe del trasformismo e neppure dalle insidie dell’isolamento. Sarà un vulcano di iniziative - come testimonia la stampa dell’epoca - dalla direzione della associazione degli agricoltori, con moderno sentire, nel tentativo di trasformare il pigro e arretrato ceto agrario calabrese in un gruppo di imprenditori responsabili e attivi agli interventi in Consiglio Provinciale di Cosenza". “Si pone anche alla guida delle classi popolari per farle coscientemente partecipare alla gestione della cosa pubblica. Anche se alcune volte si sentiva come un profeta disarmato, costretto a scontrarsi con la prassi quotidiana e la dura realtà della storia”. Quel ceto agrario che era parso seguirlo, subito dopo la guerra, quando la lotta diventa più dura, si arroccò nell’egoistico interesse di classe e preferì rientrare nei ranghi della conservazione, come scriveva in quei giorni Tommaso Fiore sul periodico di Piero Gobetti. Gencarelli, invece, differenziandosi dal notabilato agrario, gretto e geloso dei suoi privilegi, riteneva che, risolvendosi la questione meridionale con la concessione delle terre ai contadini si sarebbe fermata anche l’emigrazione e il conseguente processo di spopolamento… “L’opposizione del Gencarelli al fascismo fu intransigente – scrive il prof. Cassiano. La sua proposta in sede di Consiglio provinciale di bonifica integrale per la Calabria, estendendo al suolo calabrese tutte le disposizioni redatte nella legge dell’agro pontino, scardinò il sistema generalizzato dello status quo nelle campagne che non favoriva né il risanamento di vita contadina e né le condizioni di vita contadina”. Nel volume “Fascismo e antifascismo” testualmente si legge: “Per la competenza acquisita nelle questioni agrarie, unanimemente riconosciutagli, nelle agitazioni agrarie del 1912 – 20, quando più aspro era diventato il conflitto di classe fra contadini e ceto agrario, egli fu chiamato a presiedere, come arbitro imparziale, le assemblee di proprietari e di contadini, tenutesi nei luoghi dove più accesa erano la contestazione e l’insorgere di contrasti, che sembravano insanabili”. Quando, ormai il processo di fascistizzazione della Calabria, con la benedizione dell’alto clero e del notabilato agrario calabrese, invece, sembrava inarrestabile, egli con alcuni consiglieri provinciali, fra i quali il battagliero sacerdote Luigi Nicoletti e i socialisti Muzio e Luigi Graziani, costituì il gruppo di opposizione antifascista presentò un ordine del giorno nelle cui motivazione era spiegato che quei consiglieri “dichiaravano esplicitata la loro irriducibile opposizione verso il governo e i regine fascista”. Prima che il regime fascista lo chiarasse decaduto da tutte le cariche ricoperte, egli si dimise dalla presidenza del Consiglio Provinciale di Cosenza… e dagli altri incarichi. Incominciava, con la dittatura anche il suo calvario di vessazioni, di vendette, di reiterate illegalità, poste in atto nei suoi confronti e nei confronti della sua famiglia, a cui resistette con animo indomito, mantenendosi sempre fedele ai suoi ideali … “Il fascismo gli fu nemico anche nella vita privata …Ma tutto questo armamentario di violenza non valse a piegarne la forte tempra morale … Ritornò alla ribalta, più vivo che mai, nell’immediato secondo dopoguerra. Nel 1943 aderì al Partito d’Azione. Nel 1944, l’AMGOT gli affidò l’incarico di Controllore dell’agricoltura. In questo ruolo, scrive lo storico prof. Cassiano “operò con assoluta onestà, senza farsi condizionare dalla coalizione di tutti coloro che avevano qualcosa da nascondere”. L’articolo del prof, Cassiano è comprensivo anche di una serie di importanti note bibliografiche, dove si leggono le seguenti notizie: Francesco Gencarelli apparteneva, per parte della madre Maria Giustina Gencarelli Ieno de’ Coronei, a una delle più antiche famiglie sandemetresi. Tra i suoi esponenti annovera Giuseppe e Niccolò Ieno. Il primo era nato in San Demetrio (1783-1860), fu ufficiale medico nella R. Marina Borbonica. Chirurgo di camera della Regina Maria Carolina e, poi, del principe di Salerno, Leopoldo di Borbone. Per la sua conoscenza della lingua greca, fu chiamato ad accompagnare la regina in missione a Costantinopoli e la seguì anche in Inghilterra e in Asia. “Gli spetta il merito di avere evitato la soppressione del Collegio di S. Adriano, dopo l’attentato di Agesilao Milano (1856), che vi era stato educato, ritenuto cattedra di massime sovversive da Ferdinando II”. Niccolò (1814-1881) era figlio di Giuseppe. Laureato in giurisprudenza, intraprese la carriera amministrativa. Con Girolamo De Rada curò e pubblicò la raccolta di poesie arbëreshe.

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