Se prendiamo in considerazione gli effetti che le guerre inducono sulla civiltà  e sulla cultura dei popoli, non possiamo non chiederci:  OMERO, senza la sanguinosa  GUERRA DI TROIA, avrebbe mai scritto quel  sublime grande poema epico che è l'ILIADE?

E l'umanità avrebbe mai letto quei toccanti versi pregni di pathos, e quelli non  meno appassionanti dell'ODISSEA ? E Carducci avrebbe mai scritto, ricalcando l’antica metrica,quei possenti versi: “Tra le battaglie, Omero, nel carme tuo sempre sonanti...”?  E GIULIO CESARE avrebbe scritto il "DE BELLO GALLICO" senza averla mai  combattuta quella guerra che portò alla civilizzazione del Nord Europa ? E LEV TOLSTOJ, senza l'invasione napoleonica, avrebbe mai potuto scrivere il capolavoro di "GUERRA E PACE"? Ed ERNEST HEMINGWAY, senza subire la prova del fuoco sul fronte della Prima  Guerra Mondiale, avrebbe mai potuto scrivere "ADDIO ALLE ARMI" ? Ed il pacifista ERICH MARIA REMARQUE, senza lo sconvolgimento della Prima  Guerra Mondiale, avrebbe mai scritto “ALL’OVEST NIENTE DI NUOVO”, romanzo universalmente riconosciuto come caposaldo del “pacifismo” nel mondo ? E ALBERTO MORAVIA, senza le tragiche vicende in conseguenza della seconda Guerra Mondiale, ci avrebbe fatto leggere "La CIOCIARA" ? E quel geniaccio di CURZIO MALAPARTE, senza la sua partecipazione al secondo conflitto mondiale, al seguito delle truppe americane che risalivano la penisola, avrebbe mai potuto scriveva il suo inimitabile "La PELLE" in cui, con intelligente  arguzia, mette in fila pregi, difetti, astuzie e vizi  di italiani e americani ? Ed EZRA POUND avrebbe potuto scrivere i "PISAN CANTOS", il più grande poema  della letteratura americana di tutti i tempi, con la passione, la sofferenza, il dolore di cui è permeato, se non avesse subito il mortificante affronto di quella gabbia  in cui fu rinchiuso, obbligato a svolgere i più ricorrenti bisogni fisiologici sotto  lo sguardo del pubblico, sbeffeggiato, deriso ed umiliato da quei SOLDATI americani, diventati "carnefici"ed “aguzzini”, in forza di quella GUERRA che avevano vinto ? E che dire del celebre  "VIA COL VENTO", senza il tragico conflitto Nord-Sud?  E WINSTON CHURCHILL, avrebbe mai vinto il Nobel per la letteratura con la sua  "Storia della seconda guerra mondiale" se, di quella guerra, accettata, sofferta  e combattuta in prima persona, non fosse stato uno dei protagonisti più autorevoli? Ma che razza di cultura sarebbe stata? Io lo so. Quella lacrimevole e mediocre di  “La capanna dello zio Tom “ e di ”La cieca di Sorrento”. Ed i libri di Storia esisterebbero? E di Strabone, Erodoto, Livio, Tacito, Mommsen e  De Felice,avremmo mai sentito parlare? Ma a parte i successi letterari legati indissolubilmente agli avvenimenti bellici, non possiamo non prendere in considerazione i considerevoli apporti di progresso in campo culturale derivanti, sempre e comunque, da stimoli bellici. Se a NAPOLEONE (sempre lui,quell’impenitente “guerrafondaio”) non fosse saltato  in mente di andare a "turbare la PACE" dei Mamelucchi, portando l’Armée all’ombra  delle Piramidi, CHAMPOLLION, sì, dico. quel grande archeologo, avrebbe mai avuto  la "chance" di donare all'umanità la decrittazione dei geroglifici? Fu grazie a quella guerra che si schiuse la strada alla nuova scienza dell'egittologia con l’approccio  ad una civiltà ritenuta, sino ad allora, misteriosa. Fu così che si colse il momento magico del reperimento, nei pressi di Rosetta, nel Basso Nilo, di una Stele in pietra  nera, con incise scritte  in geroglifici dell’antico Egitto, in demotico, che era la lingua “volgare” del periodo tolemaico, ed in greco antico che fu la chiave di tutta la lettura. 

E se oggi siamo a conoscenza delle affascinanti vicende storiche che si snodano  lungo quattro millenni di dinastie di Faraoni, dobbiamo dire grazie a Champollion ma, ancor più, a Napoleone  che se lo portò al seguito fino ai deserti dell’Egitto. Napoleone. Ma di che altro siamo oggi debitori nei confronti di Napoleone ? Ma vivaddio, l’innovazione legislativa operata con quella monumentale opera che fu il CODICE NAPOLEONICO, la stupenda raccolta di norme che affondava le radici nei principi della Rivoluzione, “LIBERTÈ, EGALITÈ, FRATERNITÈ” depurati di quella nefasta costante di morte e di sangue che ne avevano offuscatola la sacralità. Fu la base della giurisprudenza attualmente vigente in Francia, e non solo in  Francia, se è vero, com’è vero, che tutti i codici del mondo a quello si sono poi ispirati, compreso il nostro. E dalla scia di morti seminati nella sue campagne non  possiamo disgiungere il beneficio delle tante vite umane salvate da morte sicura con  l’istituzione degli ospedali da campo, da lui voluti, che misero in atto le più moderne innovazioni della chirurgia e della medicina cui seguirono gli  innegabili benefici derivati dalle ricerche scientifiche, per scopi militari che, nel bene e nel  male, hanno contribuito al progresso dell’umanità. E quando ci accingiamo ad aprire una scatoletta di carne, o di tonno sott’olio, o  di pomodori pelati, non dimentichiamo quel che pochi forse sanno. Fu Napoleone  a favorire l’invenzione del cibo  in scatola, nel 1810, tramite un concorso, da lui  indetto, per creare un sistema adatto a conservare i cibi da portare nelle campagne  militari, lontano dai luoghi di produzione.  A vincere quel concorso fu un cuoco, Nicholas Appert, che escogitò di sigillare il cibo  in una scatoletta metallica dopo averlo portato a temperatura elevata, ed aver eliminato l’aria. Metodologia notoriamente tuttora valida, a distanza di oltre due secoli. E vi pare niente l’editto, entrato in vigore anche in Italia, che vietava la sepoltura  nelle chiese, in pieno centro abitato, in spregio alla più elementari norme di igiene,  mettendo a rischio la salute di tutti, per lo stentato processo di mineralizzazione  dei cadaveri impedito dalla scarsa ossidazione che avveniva nei  tumuli, rispetto   alla più favorevole riscontrata nell’inumazione. Ma non finisce quì la sua “furia” innovativa di modernizzazione in tutti i campi, non solo in Francia, ma anche in  tutta Europa. E se oggi Napoli può vantare una prestigiosa Facoltà di Ingegneria, questo si deve ad un Decreto, datato 4 marzo 1811, di Gioacchino Murat, cognato  di Napoleone, il cui contenuto dava il via all’istituzione di una avveniristica, almeno per quei tempi caratterizzati da un prevalente oscurantismo di stampo  borbonico,  ad una moderna “SCUOLA DI APPLICAZIONE DI PONTI E STRADE”, ereditata poi,  dai Borboni che, alla restaurazione dell’ancien régime, non disdegnarono adottarla  riconoscendone l’alto valore scientifico e i validi meriti in campo tecnologico, anche  nei confronti dell’Europa. Da quella scuola uscì, diventandone poi giovanissimo docente, uno dei più famosi  progettisti di ponti sospesi al mondo. Si chiamava Luigi Giura, di Maschito, un paese arbëresh della Basilicata, che fu il primo ad aver intuito l’importanza e la fattibilità  dei ponti di grande luce, sostenuti da catenaria d’acciaio, vincendo l’ostilità e la derisione dei vecchi cattedratici che definivano quella tecnica tipica dei popoli  primitivi che la realizzavano, maldestramente, per costruire “traballanti ponti  sostenuti da liane”. L’unico a dargli credito fu il Re, Federico II Borbone, che impose la sua volontà affidandogli il prestigioso incarico della realizzazione del ponte sul Garigliano, non  mancando di raccomandare a tutti gli ingegneri rappresentanti di vecchia scuola : “LASSATE FA’ O GUAGLIONE”.  E fu il primo ponte sospeso ad essere costruito nell’Europa continentale, laddove, fino ad allora, ci fu una triste sequenza di crolli già in fase di costruzione. Fu quel giovanissimo ingegnere ad aver capito che il difetto era nella qualità dell’acciaio e, dopo un anno trascorso a Mongiana, in Calabria, nella famosa fonderia del Regno di Napoli, mise a punto la giusta LEGA FERRO-CARBONIO con cui fu costruita la catenaria che sostiene il PONTE SUL GARIGLIANO, bello, maestoso ed elegante  nella sua snellezza, e ancora lì a sfidare avversità climatiche e invidie di...mestiere. Senza Napoleone non ci sarebbe stato Marat, e senza Marat non ci sarebbe stata quella Facoltà di ingegneria a Napoli e, ovviamente, non ci sarebbe stato un LUIGI GIURA a realizzare quel capolavoro di tecnica ed architettura, e scusate se è...poco. Nel primo governo provvisorio costituito a Napoli da Garibaldi, Giura fu nominato ministro dei Lavori Pubblici, insieme con altri due arbëresh, Pasquale Scura alla Giustizia (guardasigilli), e Francesco Crispi ministro degli Esteri.

 Ernesto Scura

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