Spesso mi son chiesto dove arriva la vigliaccheria umana, specie quando fa scudo di una vanagloriosa sacralità derivante da presunta superiorità genetica.

A cosa mi riferisco in modo specifico ? A quei 757 intellettuali, fior di “galantuomini”, tutti di sinistra, che hanno firmato l’appello di Camilla CEDERNA, nota giornalista de “L’Espresso”, che accusava il commissario Luigi Calabresi della morte dell’anarchico PINELLI fermato nella questura di Milano per essere interrogato sull’attentato di piazza Fontana. Direttore dell’Espresso era Eugenio Scalfari che fu, in effetti, promotore di quella campagna di odio, alla quale si accodò il fior fiore dell’intellighentia italiana, di cui sarebbe ingombrante riportarne tutti i 757 nomi. Mi limito a trascriverne i più noti dalla “gauche caviar” (la sinistra al caviale) quella che ha il cuore a sinistra e il portafogli a destra, quella che ha sempre ragione, specialmente quando ha torto, ed era la quasi totalità dell’intellighenzia della Sinistra di allora e di oggi, ma non solo. Tra questi nomi ricordiamo, in ordine sparso, quelli di: Norberto Bobbio, Umberto Eco, Dario Fo, Franca Rame, Margherita Hack, Giorgio Bocca, Eugenio Scalfari, Inge Feltrinelli, gli Editori Laterza, Giulio Einaudi, Federico Fellini, Paolo Mieli, Tinto Brass, Luigi Comencini, i fratelli Taviani, Bernardo Bertolucci, Marco Bellocchio, Folco Quilici, Carlo Levi, Alberto Moravia, Dacia Maraini, Alberto Bevilacqua, Primo Levi, Giancarlo Pajetta, Furio Colombo, Camilla Cederna, Tiziano Terzani, Toni Negri e. dispiace immensamente doverlo ricordare, quel grande che fu Pier Paolo Pasolini che, con quella firma minò di molto la credibilità sulla sua cultura. Ma Pasolini, si sa, era l’uomo delle contraddizioni, con i  suoi  atteggiamenti  che,  spesso,  erano  in  contraddizione  con  se  stesso  e  con  i ….”compagni di fede”. Fu accanitamente comunista, pur essendo stato ferito dai comunisti negli affetti più cari quando, a Malga Porzus, in Friuli, i partigiani delle formazioni Garibaldi, non esitarono a trucidare Guido, il fratello di Pasolini insieme con quei partigiani cattolici che rifiutavano di accodarsi agli ordini della Garibaldi che intimava di andare a “liberare” dai nazisti la città slovena di Lubiana, mentre i cattolici della Osoppo volevano, giustamente, dare precedenza alla liberazione di Trieste che, invece, per i comunisti, doveva essere, come fu, “liberata” dalle truppe slave di Tito, che la sottoposero a 40 giorni di martirio e di infoibamenti. Ma per Pasolini l’ideologia prevaleva in tutte le sue azioni. E quando fu espulso dal partito comunista per la sua condotta omosessuale, egli restò ancora comunista, e quando, il partito, consapevole della sua valenza culturale, lo riammise tra gli iscritti, fu sempre considerato soltanto un comodo fiancheggiatore, al punto che Berlinguer non volle mai stringergli la mano, perla sua condotta morale che non era organica col Partito. Si limitò, “obtorto collo”, a sfilare davanti alla sua bara ai funerali. Ma torniamo all’appello di condanna per Calabresi. La redazione dell’Espresso era diventata un laboratorio della “fabbrica del fango”, e tutti i suoi giornalisti furono i primi a firmare l’appello dell’assatanata Cederna. Ma quando bussarono alla porta di Giampaolo Pansa, allora già rinomata firma di quel giornale, invitandolo ad assecondare le disposizioni del direttore che gradiva l’unanimità di consensi a quell’infame appello di morte, non ebbe esitazione, dopo aver letto l’appello, a cacciarli fuori dalla stanza, gridando di non permettersi di insinuare bugie sulla figura di un onesto servitore dello Stato, qual era il commissario Calabresi. E fu l’unico, in quella redazione, a ragionare con la propria testa, senza temere rappresaglie alle quali sapeva come far fronte. Tra i “geni” firmatari di quell’ignominioso appello abbiamo citato Norberto Bobbio, tuttora considerato Nume Tutelare della sinistra. Ma, a distanza di anni, quando molti cominciarono a pentirsi di aver firmato, anche lui volle partecipare al lavacro. E scrisse il suo pentimento, senza però chiedere scusa alla famiglia, che peggiorò ancor più la sua usurpata fama di …intellettuale, dicendo : “ Quell’appello era sbagliato nella forma, troppo violenta, ma non nella sostanza”. In pratica era ancora convinto della colpevolezza di Calabresi, laddove il Tribunale aveva accertato, in modo definitivo, che al momento della caduta di PINELLI dalla finestra, Calabresi era, già da un pezzo, andato via dalla Questura. Persino Scalfari si pentì e chiese scusa alla vedova. Ma uno in particolare merita un doveroso riconoscimento, PAOLO MIELI che, a proposito di quella firma ebbe a dichiarare : “MI VERGOGNO PER QUELLO CHE HO FATTO”. Chi non si è mai pentita è NATALIA GINZBURG che, forse, era convinta di meritare il perdono “automatico”, dando in sposa la nipotina a MARIO, figlio di CALABRESI. E non si è mai pentita la regista LLILIANA CAVANI, e non si è mai pentito il regista MARCO BELLOCCHIO, e non si è mai pentito FURIO COLOMBO e nemmeno GIORGIO. BOCCA, quand’era in vita, e tutti gli altri, vivi o morti che siano, e che il “Diavolo” li abbia in gloria per aver invocato l’assassinio di un innocente che versò il suo sangue, sull’asfalto, per soddisfare la sete di sangue di 757 gaglioffi.

 Ernesto SCURA

P.S.

Tanto per mettere in luce la valenza professionale del commissario Calabresi, merita ricordare un episodio della sua carriera quando, sospeso dal servizio per l’infame processo a suo carico. fu chiamato in Questura per dare una mano a individuare chi fosse quel terrorista dilaniato mentre cercava di far saltare in aria un traliccio dell’Alta Tensione a Segrate. Gli sottoposero alcune foto di quel dinamitardo. Dopo avergli dato una rapida occhiata, disse : “mettetegli un paio di baffi e vedrete”. Restarono allibiti appena dopo che qualcuno aveva disegnato dei baffi su quel viso glabro. Tutti riconobbero in quel terrorista, GIANGIACOMO FELTRINELLI, che ormai da anni in latitanza, si era liberato dei suoi caratteristici baffoni. Solo un esperto come Calabresi era in grado di ricostruirne le sembianze. CONOSCEVA BENE I SUOI POLLI, LUI.

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