Fonte: www.artribune.com

di Marta Greco

A POCHI GIORNI DALL’APPROVAZIONE DELLA NUOVA DEFINIZIONE DI “MUSEO”, UNA RIFLESSIONE SU COME I NUOVI RUOLI DEL MUSEO SI INTEGRANO IN QUELLI DELLA SOCIETÀ EDUCANTE. CON UNA INTERVISTA A FILIPPO DEMMA DEL PARCO ARCHEOLOGICO DI SIBARI.

 Quando la necessità di ridefinire il significato di una parola si fa impellente, allora si è dentro un cambiamento. Se poi la parola in questione è un termine di uso comune come museo, allora l’occasione per riflettere non è più rimandabile. Risale ad appena qualche giorno fa l’approvazione della nuova definizione di museo da parte dell’Assemblea Generale Straordinaria di Icom. A distanza di quindici anni e dopo un lungo processo partecipativo, si è giunti a includere nel nuovo significato aspetti come l’accessibilità, l’inclusività, la promozione della diversità, la sostenibilità e infine le modalità di azione in concerto con le comunità ai fini educativi e di condivisione di conoscenze. Caratteristiche non più opzionali e nemmeno meramente complementari rispetto alla originaria missione conservativa, piuttosto un nuovo cuore pulsante, al centro di una riflessione permanente che è stato anche il tema della MuseumWeek di quest’anno. Scardinata da tempo l’immagine di semplici contenitori di oggetti, abbandonata l’idea di luoghi quasi religiosi da frequentare in punta di piedi, i musei oggi svolgono sempre più spesso funzioni che ampliano e completano l’originaria missione conservativa per la quale sono stati pensati: dalle iniziative orientate alle pratiche dell’integrazione culturale delle minoranze a quelle di educazione civica e di sensibilizzazione alla cura del bene comune fino al partenariato con il Terzo Settore. Nel discorso educativo che parte dai musei, il patrimonio culturale non è il fine, ma un mezzo attraverso cui si trasferiscono contenuti, si condividono pratiche, si costruisce innovazione. I destinatari sono membri di un gruppo eterogeneo che include vecchi e nuovi pubblici, e che dovrebbe forse piuttosto chiamarsi comunità di prossimità, alla quale si riferisce certamente la nuova definizione Icom. Il tema dei nuovi ruoli si apre a riflessioni su alcune questioni cardinali: l’adozione e l’uso di linguaggi inediti pensati per raggiungere utenti diversi dal pubblico canonico dei musei, le fortissime esigenze di adeguamento al mondo del digitale, colte e racchiuse nel documento programmatico del PND Cultura. E, non per ultimo, la mancanza cronica di personale, specializzato e non, all’interno delle istituzioni pubbliche culturali. 

NTERVISTA A FILIPPO DEMMA

E dunque, cosa sono diventati i musei negli ultimi anni? Che forma hanno preso, che linguaggi usano, che funzioni ricoprono? L’abbiamo chiesto a Filippo Demma, direttore del Parco Archeologico di Sibari, e attualmente guida ad interim della Direzione Regionale Musei Calabria. Per l’edizione 2022 della MuseumWeek dello scorso giugno, il focus scelto è stato “cultura, società e innovazione”. In Italia oggi come si colloca il museo in questo triangolo relazionale?
Nelle intenzioni generali, la posizione dovrebbe essere esattamente al centro. Non sempre ci si riesce. Da molto tempo il museo non è più “solo” un contenitore del passato, lei lo ha definito piuttosto “un utensile per fare cultura”: un oggetto da usare insomma. A che serve lo strumento museo e come lo si sta usando? Il museo è un oggetto culturale a pieno titolo e una lista di suoi “usi” possibili coinciderebbe con le infinite possibilità connesse alla sfera culturale in generale ed educative in particolare. Provare a elencarle sarebbe quindi operazione da un lato lunga e complessa, dall’altro sostanzialmente irrilevante. Come stiamo provando a usare questo strumento a Sibari è forse più semplice da spiegare: stiamo provando a fare dei nostri musei dei centri aggregatori di una comunità educante. Un esempio sono i laboratori che stiamo programmando: “Copycat: speranze replicabili” coinvolge studenti dell’Istituto Professionale Erodoto di Cassano allo Jonio e detenuti della casa circondariale di Castrovillari. I primi insegneranno ai secondi a scansionare e poi riprodurre con stampanti 3D alcuni reperti conservati nel museo. Le operazioni saranno precedute naturalmente da introduzioni storiche e archeologiche sugli oggetti, il loro significato, la loro importanza. Le copie verranno prima esposte sia in carcere che al museo, poi messe a disposizione di pubblico non vedente che sarà introdotto alla conoscenza dalle spiegazioni degli stessi ragazzi che le hanno realizzate. Per poter procedere alle attività laboratoriali sia il personale del museo che i docenti della scuola coinvolti saranno preventivamente formati con un corso specifico tenuto dalla onlus Maestri di Strada, che lavora sugli operatori didattici impegnati in contesti di disagio sociale. Qual è il ruolo del museo in questo caso? Il museo in questo modo fornisce lo spunto, le risorse economiche e materiali e il personale per un’operazione culturale che coinvolge le comunità scolastica e carceraria. Queste comunità non restano però esclusivamente ricettive, ma si fanno parte attiva dell’azione auto-educativa da un lato ed educante dall’altro, nei confronti ad esempio della comunità non vedente. I benefici in termini educativi vengono così esponenzialmente moltiplicati. 

MUSEI ED EDUCAZIONE: IL CASO DEL PARCO ARCHEOLOGICO DI SIBARI

Al centro della missione istituzionale del museo c’è la conservazione. Ma la declinazione sempre più diffusa dei compiti del museo sembra essere legata alla sua funzione educante. In alcuni luoghi, come per esempio al Sud, questo aspetto si coglie con più evidenza. Dal 2020 lei è direttore del Parco Archeologico di Sibari e qui ha messo a punto una serie di azioni che hanno come scopo quello di fare del museo un presidio di legalità. Ce ne parla? In questo campo le azioni sono state di due tipi, il primo è relativo al controllo e alla messa in sicurezza del patrimonio. Per raggiungere questo obiettivo è stato chiesto, ottenuto, progettato e messo a gara in pochi mesi un finanziamento al Ministero dell’Interno sull’asse del PON Legalità, i lavori di installazione dei presidi di sicurezza sono stati affidati di recente. Queste operazioni sono preliminari e necessarie per poter procedere alla ristrutturazione del sistema di concessioni dei fondi agricoli di pertinenza del Parco. Le azioni del secondo tipo sono invece più decisamente culturali e riguardano lo stimolo alla riflessione e l’educazione ai principi della legalità tramite laboratori didattici rivolti principalmente alle scuole: oltre a quello sommariamente descritto al punto precedente, ad esempio, si sta lavorando al progetto denominato “di genio e meraviglie”. Sono poi previste una serie di iniziative rivolte a diversi pubblici adulti, che il Parco sta programmando in collaborazione con il presidio di Cassano dell’associazione Libera e con altre onlus impegnate nel territorio. Sembra più appropriato parlare di comunità che non di pubblico per i musei: condivide la prospettiva? In termini di prospettiva, naturalmente sì; in termini descrittivi, assolutamente no. Il museo di comunità è ancora un obiettivo lontano dall’essere raggiunto. Nuovi obiettivi, nuovi utenti nuovi linguaggi: il digitale, ad esempio. Da luogo di comunicazione esclusivamente informale a canale ufficiale di comunicazione con il pubblico, la presenza in rete per musei e istituti della cultura non sembra essere più opzionale, stando anche a quanto risulta dall’analisi report dell’Osservatorio per l’innovazione digitale nei beni culturali del Politecnico di Milano: il primo contatto con l’istituzione per il 49% avviene tramite canali online ufficiali, come sito web o account social istituzionali. Crede sia davvero utile creare ecosistemi sociali virtuali a sostegno di comunità reali di prossimità attorno all’istituzione museo? Tutto ciò che contribuisce a raggiungere gli obiettivi che un’istituzione culturale si propone è assolutamente utile. A maggior ragione apprendere e adoperare nuovi linguaggi. 

IL DIGITALE E IL FUTURO DEI MUSEI

Il digitale è al centro delle nuove iniziative del MiC, sostenute dal PNRR. Emerge però che la metà delle istituzioni culturali non ha personale dedicato e una istituzione su cinque non ha un piano strategico dedicato al digitale. Il problema delle nuove professionalità (competenti e opportunamente formate in materia di comunicazione, o di linguaggi ad esempio) non è più rimandabile per il buon funzionamento di un luogo della cultura. Come interpretare questi dati, anche alla luce della recente pubblicazione del PND Cultura? Prima che riguardare la formazione di nuove professionalità, il tema riguarda il reclutamento di personale all’interno degli Istituti del MiC. Inutile parlare di come e quanto debba essere formato del personale che non si può assumere e che si riesce a reclutare solo in pochi casi e con contratti di breve periodo. Dal 2021 lei è anche a capo della Direzione Regionale Musei della Calabria: nel giro di meno di un anno è stato riaperto il Museo Archeologico di Crotone, chiuso dal 2006, e si è inaugurato un nuovo allestimento per il museo di Locri. Il patrimonio archeologico e museale della Calabria è molto vasto – con contesti archeologici unici (penso alla Sinagoga di Bova Marina) e fino a oggi poco valorizzati: cosa altro prevede l’#Onda Calabra? La Direzione Regionale Musei Calabria è competente per 14 luoghi della cultura distribuiti su un territorio vasto e spesso difficilmente accessibile, da molti punti di vista. Il primo obiettivo della mia direzione è stato restituire dignità a tutti i 14 luoghi: riavviare manutenzioni, stabilizzare e ampliare gli orari di visita, aumentare l’offerta culturale. Nonostante le risorse finanziarie che il MiC mette a disposizione siano state tutt’altro che scarse, il loro impiego è risultato finora complicato, da un lato dalla mancanza di personale, dall’altro da una serie di problemi organizzativi che stiamo risolvendo. In questi mesi la capacità di spesa è aumentata in maniera decisa e le manutenzioni ordinarie e straordinarie effettuate, le riaperture, le nuove attività sono il riflesso di questa capacità. Il tema degli accordi istituzionali, a cominciare dagli altri Istituti MiC operanti sul territorio – SABAP e SR – è cruciale per poter disporre di strumenti adeguati di ricerca e valorizzazione. Su questo terreno la Calabria è balzata davanti a tutti in Italia, grazie all’apertura culturale e allo spirito di collaborazione che unisce un gruppo di dirigenti giovani e preparati. Il coinvolgimento del Terzo Settore che, attraverso lo strumento del partenariato speciale pubblico privato, la DRM Calabria sta sperimentando al Museo e Parco archeologico Nazionale di Capocolonna, è un altro indirizzo strategico che caratterizza l’azione della mia direzione: coinvolgimento della comunità, chiamata all’azione, progettazione condivisa di servizi e azioni di valorizzazione, sostegno anche economico al territorio attraverso logiche di gestione condivisa del patrimonio. A luglio la Direzione Regionale Musei della Calabria ha presentato ufficialmente un bando che riguarda il partenariato speciale con enti di Terzo Settore per la promozione e la valorizzazione del Museo e del Parco archeologico Nazionale di Capocolonna. Il ricorso ai privati è la soluzione? Il ricorso al partenariato può costituire un aiuto alla gestione del patrimonio per Istituti in difficoltà per carenza di organico, ma è in realtà molto di più: è un nuovo modello di gestione condivisa del patrimonio culturale ed è il modo principale attraverso il quale beni culturali diffusi possono avere un impatto socio-economico decisivo in aree culturalmente ricche, ma economicamente depresse. Per concludere: cosa sarà nel futuro il museo che si sta sviluppando in questo momento? Il futuro dipenderà dall’impronta che il prossimo governo deciderà di imprimere alla sua politica culturale in questo che è un momento decisivo.

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