Fonte: www.corrieredellacalabria.it

di Luca Latella

Commozione mista a soddisfazione per essersi liberata da un «torto dalle proporzioni inaudite». Il day after di Pasqualina Straface si presenta così, all’indomani della sentenza di assoluzione con formula piena dal processo che la vedeva protagonista, insieme ad altre nove persone, perché accusata di abuso d’ufficio, falso e associazione mafiosa a seguito dell’inchiesta Santa Tecla.

È raggiante perché «finalmente giustizia è stata fatta». L’ex sindaco di Corigliano, il giorno dopo la pronuncia, dopo oltre sette anni, decide di parlare in una conferenza stampa alla quale era presente anche tanta gente, i suoi amministratori del tempo e anche chi, con lei, è stato assolto. Tutti segnati nei volti dalla sofferenza. Proprio la gente, il “suo” popolo, la “sua” Corigliano”, come quando era sindaco, rimangono al centro delle sue attenzioni. «Grazie perché mi siete stati vicini, grazie alla comunità di San Nico e quella parrocchiale di San Gaetano Catanoso, senza la quale non ce l’avrei fatta a superare questi sette anni tremendi, durissimi, indescrivibili, passati a essere incolpata di un fatto mai commesso», dice una commossa Pasqualina Straface nelle primissime battute. Poi la dedica per l’assoluzione piena, al padre e la sua versione dei fatti. «Tutto nasce – dice – dall’insediamento della commissione d’accesso, entrata in comune con grande preconcetto, perché erano certi che avrebbero sciolto l’amministrazione per mafia. “Torturavano” il segretario generale alla ricerca di qualche notizia contro di me che non hanno mai trovato». La relazione finale della commissione, dalla quale è scaturito il processo per l’ex sindaco era, secondo lei, «vuota». «È inauditamente grave – racconta ancora – che un Comune sia stato sciolto per mafia non perché si sia compiuto un atto, ma per evitare che l’atto si potesse compiere. È stata una mortificazione per l’intera città. Hanno confuso il codice dei lavori pubblici con lo stato di calamità naturale. Ci hanno accusato ma noi, io insieme agli altri ex amministratori coinvolti, abbiamo semplicemente provato a salvare vite umane dopo un’alluvione». Uno dei capi d’imputazione, abuso d’ufficio e falso, era relativo proprio ai lavori di somma urgenza affidati per gli eventi alluvionali. Secondo l’accusa, l’ex sindaco avrebbe incaricato ditte riconducibili al malaffare. Poi continua: «Sono certa che anche oggi faremmo ciò che abbiamo fatto allora, per salvare vite umane. E non ci siamo dimessi perché eravamo convintissimi di aver agito con trasparenza e nell’assoluta legalità. Peraltro non volevamo tradire il mandato affidatoci dai coriglianesi». Prima dell’intervento “tecnico” dell’avvocato Gianluca Serravalle, Pasqualina Straface conclude dicendo di «aver sempre creduto nel corso della giustizia, quella vera, che sarebbe entrata nel merito delle cose e degli accadimenti. Adesso è il momento del riscatto per la mia famiglia dopo anni di solitudine ed enorme dolore». Dopo aver evidenziato la scarsa attendibilità dei pentiti che hanno accusato Pasqualina Straface – e da qui l’accusa per associazione mafiosa – Serravalle entra nei dettagli ripercorrendo tutta la vicenda. «Incomprensibili, allora, le accuse nei confronti dell’ex sindaco – spiega il penalista – dopo che gli stessi pubblici ministeri avevano ammesso, nel primo troncone del processo Santa Tecla, che Pasqualina Straface era completamente estranea, prevedendone l’archiviazione». Serravalle parla di aspetti paradossali, a partire dalla relazione della commissione d’accesso agli atti e poi conclude rimarcando come la sentenza faccia «giustizia nei confronti di tutti gli imputati, ma anche dell’intera comunità» e dicendosi pronto «a ogni sviluppo processuale perché sicuri delle nostre ragioni».

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