Articolo tratto dal sito: Agenzia Sir (Servizio Informazione Religiosa)

Di Stefano De Martis

I numeri diffusi dall’Inail e relativi ai primi sette mesi dell’anno rivelano un aumento degli infortuni (+1,3%) e soprattutto dei morti sul lavoro (+5,2%, vale a dire 29 vittime in più). Erano ben venticinque anni che non si registrava un aumento contestuale di entrambi gli indicatori. L’analisi di Franco Bettoni, presidente dell’associazione nazionale fra lavoratori mutilati e invalidi del lavoro.

È il lato oscuro della ripresa, del pur insufficiente recupero dell’occupazione: gli infortuni sul lavoro tornano a crescere. “Siamo molto preoccupati per questa inversione di tendenza”, dice Franco Bettoni, presidente dell’Anmil, l’associazione nazionale fra lavoratori mutilati e invalidi del lavoro. Dopo anni di dati in calo – un calo che pure era andato riducendosi negli ultimi tempi – i numeri diffusi dall’Inail e relativi ai primi sette mesi dell’anno rivelano un aumento degli infortuni (+1,3%) e soprattutto dei morti sul lavoro (+5,2%, vale a dire 29 vittime in più). Erano ben venticinque anni che non si registrava un aumento contestuale di entrambi gli indicatori, osserva Bettoni, che nel 1976, a 15 anni, si è infortunato lavorando in un bottonificio nel bergamasco e quindi conosce in prima persona la realtà di cui parla. “Io ce l’ho fatta – racconta – ma tanti non sono riusciti a riprendersi. Per non dire di coloro che hanno perso la vita e di tante famiglie distrutte. Non ci sono risarcimenti che tengano. Per questo sottolineo sempre che i numeri che ci fornisce con costanza l’Inail sono preziosi per misurare il fenomeno, ma non dobbiamo mai dimenticare che si tratta di persone e quindi non dobbiamo smettere di indignarci”. Dunque, presidente, c’è una correlazione tra la ripresa economica e l’aumento degli incidenti sul lavoro. Il fenomeno è complesso, ma la correlazione esiste e lo dimostra anche il fatto che le due Regioni in cui l’aumento è maggiore, Lombardia ed Emilia Romagna, sono anche quelle in cui la ripresa si è fatta sentire più che altrove. Del resto anche la diminuzione degli anni precedenti era stata messa in rapporto con la crisi. Peraltro a partire dal 2012 il calo era andato assottigliandosi di anno in anno. Questa correlazione può spiegare almeno in parte il fatto che nel Mezzogiorno l’aumento non ci sia stato e, anzi, si sia rilevato un ulteriore calo. Ma non sarà che a fare la differenza sia soprattutto il lavoro nero e una minore tendenza a denunciare gli infortuni? Il lavoro nero è una piaga anche dal punto di vista degli infortuni. Tanto più che nei periodi di crisi il bisogno spinge ad accettare anche di lavorare in condizioni di non sicurezza. A volte poi gli infortuni non vengono denunciati o vengono camuffati come malattie normali. Per questo i controlli sono fondamentali e devono tenere conto di un mondo del lavoro che è profondamente cambiato. Servono ispezioni mirate e ispettori formati in modo aggiornato. È importante anche analizzare gli incidenti mancati per ricavarne indicazioni sulla prevenzione. Sul piano delle indagini giudiziarie, inoltre, abbiamo avanzato da tempo la proposta di una procura unica composta da magistrati specializzati. Le norme in vigore sono adeguate? Purtroppo sono sei anni che attendiamo l’emanazione di venti decreti attuativi, da quello sulla patente a punti nell’edilizia a quello sulle politiche del rischio per i lavoratori con disabilità. E poi bisognerebbe aggiornare la normativa tenendo presente le dinamiche della società, con un’attenzione particolare per le donne infortunate, ad esempio, o per le persone che lavorano sempre più avanti negli anni. Dagli ultimi dati emerge che circa duemila degli infortuni in più hanno riguardato persone dai 60 ai 69 anni. L’aumento dell’età pensionabile richiede una riflessione sul tipo di lavoro che si svolge, sui fattori di rischio specifici, sulle attività usuranti. È possibile che ci si debba rassegnare al fatto che più occupazione significhi anche più incidenti e più vittime sul lavoro? No. Proprio per questo, al di là dei controlli e della repressione, serve un cambiamento culturale nell’approccio al tema degli infortuni sul lavoro e delle malattie professionali. Un cambiamento sia per i lavoratori che per i datori di lavoro, che a volte – nel caso degli artigiani, per esempio – possono essere anch’essi esposti al rischio. Ma per far capire quanto sia importante il rispetto delle norme bisogna mettere al centro la persona, come le dicevo all’inizio, e cominciare dalla formazione nelle scuole. Come Anmil siamo molto impegnati su questo versante. E le assicuro che anche in questo campo non c’è nulla di più efficace della testimonianza diretta.{jcomments on}

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