fonte: Corriere della Calabria

di Francesco Sapia (Deputato M5S)

La ‘ndrangheta allunga i suoi tentacoli sulla sanità calabrese, cui lo Stato dà 3miliardi e mezzo all’anno; per inciso circa il 4% in meno rispetto al fabbisogno di cure nel territorio.

È un fatto noto, scontato e assieme oggetto di attenzione istituzionale da parte del potere esecutivo e giudiziario, oltre che della commissione bicamerale Antimafia. Occorre affinare le armi contro il controllo, ad opera delle cosche, della gestione delle aziende del Servizio sanitario regionale. Si tratta di un impegno gravoso quanto pressante, che richiede costanza e coerenza. Qui c’è un aspetto ovvio, tuttavia, su cui non taccio: grazie a connivenze e complicità strutturate, le organizzazioni criminali sono riuscite a inquinare gli uffici sanitari. Quando si discute di questa capacità virale della ‘ndrangheta, il rischio è, spesso in maniera del tutto involontaria, di perpetuare il vecchio alibi della potenza dell’antistato; sovente, a torto, considerato più forte dei pubblici poteri e addirittura invincibile. La tesi, la percezione diffusa e il messaggio corrispondente è che la ‘ndrangheta sia un corpo a se stante, in grado di imporsi sulla politica e sulla dirigenza del settore, di dettare legge e indirizzi e sottomettere eletti dal popolo e apparati burocratici, cui spetta l’organizzazione dei servizi sanitari. Questa visuale reca una sorta di giustificazione implicita e pericolosa: poiché i clan sono troppo minacciosi e pervasivi, e comunque rappresentano il male del sistema, i governanti e i “loro” dirigenti devono ritenersi esenti da ogni addebito e in ogni caso non possono che soccombere nelle scelte. Dire che la sanità calabrese è un inferno per colpa della sola ‘ndrangheta è come affermare che la società occidentale soffre e langue per via della delinquenza e basta. È una semplificazione di comodo per trasferire altrove le responsabilità, che in larga misura vanno ripartite tra i vertici politici e gli onnipresenti manager “quattro stagioni”, i quali muovono da decenni le leve di comando dell’amministrazione regionale, di là dai colori dei singoli governi. Manager, vale sottolinearlo, confermati dal presidente della Regione Calabria, Mario Oliverio, che nella sua campagna elettorale si propose come il candidato, l’uomo della «discontinuità». Siamo in una fase cruciale per la sanità calabrese, caratterizzata da gestioni aziendali pessime, politicizzate, tante volte indotte a produrre voti, clientele, affari o vecchie prassi, piuttosto che buona salute. Penso, per esempio, alle sentenze del giudice del lavoro non rispettate all’Azienda ospedaliera di Reggio Calabria, come alla vicenda, finita in cavalleria, della lamentata mancanza dei requisiti del suo ex direttore sanitario. Penso, sempre a proposito di quell’azienda, all’illegittimo mantenimento in servizio di primari che hanno superato l’età per la pensione; al concorso per il responsabile del reparto di Geriatria, unità operativa che non esiste e non è prioritaria; alla direzione della Ginecologia e Ostetricia data a un professionista che presentò un curriculum per legge non idoneo; all’episodio delle presunte medicazioni ortopediche con cartone da imballaggio e ai 6 mesi di sospensione dallo stipendio inflitti dalla stessa azienda al medico che scattò le foto di quelle scene. L’unico, paradossalmente, ad aver finora pagato. Ma penso anche agli incarichi distribuiti in «Zona Cesarini», all’Asp di Cosenza, a persone vicine a politicanti di palazzo, su cui il presidente della commissione Antimafia, il senatore Nicola Morra, ha presentato un esposto circostanziato in modo che la magistratura faccia piena luce. E penso all’inqualificabile legge regionale, di recente approvazione, con cui è stata istituita l’azienda ospedaliera unica di Catanzaro, il cui testo sembra scritto da legislatori di un altro pianeta, nel quale si può prescindere da qualsivoglia conseguenza civile, amministrativa, contabile e giuridica, come se la Calabria non avesse avuto danni, morti innocenti e disavanzi milionari da una miscela esplosiva di bulimia, irresponsabilità, improntitudine e demagogia politica. In questa situazione comatosa, occorre levare ossigeno e potere al governo regionale. Non si può ancora negare lo stato di emergenza in cui versa la sanità calabrese, che necessita di un vasto, complesso piano di riforma e di dirigenti coraggiosi, preparati e fedeli alla loro missione pubblica. Il governo nazionale si sta muovendo in questo senso, malgrado le resistenze e “scappatoie” messe in atto da Oliverio e seguaci.

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