Fonte: Nuova Corigliano n. 19/2017

Occorrerà certamente una buona dose di pragmatismo politicoamministrativo per dare forma e sostanza al discorso della fusione tra Corigliano e Rossano.

Dopo la tensione della campagna elettorale e l‟esito del risultato referendario, sarebbe veramente un problema se il “cantiere” dovesse prendere corpo alzando paratie divisive, finalizzate – secondo una logica “vendicativa” e di rivalsa – ad escludere anche quanti, sul variegato fronte contrario del “No”, potrebbero dare un contributo propositivo e costruttivo. Hanno, perciò, ragione alcuni sostenitori del “Si” quando dicono che la fusione è di tutti perché altrimenti il processo finirebbe per restare culturalmente zoppo, completamente non assimilato anche da quanti, scettici o critici in partenza, potrebbero, in corso d‟opera, manifestare buone ragioni per cambiare idea. Tutti percepiscono che il percorso verso la fusione sarà complesso e che non mancheranno gli ostacoli da superare; ma il bello delle battaglie democratiche risiede (quasi) sempre nella maggiore gamma di strumenti azionabili, specie nei momenti di stallo: una risorsa a cui attingere per costruire passerelle tra posizioni distanti e abbattere steccati. Se la società civile di Corigliano-Rossano trovasse all‟interno di una struttura ad hoc lo spazio del confronto permanente, dello studio sulla fattibilità di certe decisioni, del calcolo dei costi e dei benefici e della prudenza nell‟applicazione della legge, questo sarebbe un segnale importante. Da evitare, invece – a mio avviso – la possibilità che specifici gruppi di interesse monopolizzino il tavolo del confronto, imponendo la loro visione a danno dei soggetti meno rappresentati. La fusione, insomma, dovrà viaggiare su un solo binario, chiaro e inclusivo. Non c‟è bisogno, in sintesi, che nessuno si affanni a benedire il risultato conseguito. Se si ritiene che la fusione rappresenti un bene, allora la spina dorsale di questa esperienza risiede (dovrà risiedere) nella cittadinanza. L‟esempio migliore che i “vincitori” possono dare, specie alle generazioni più giovani, è quello della conciliazione, impegnando tutte le risorse disponibili per “costringere” anche i più riottosi ad essere parte attiva dell‟impresa. Altrimenti, il grande sforzo profuso resterà un‟avventura a metà, buona per assegnare medaglie a qualcuno, oppure per isolare persone o gruppi, ma alla fine inutile e perfino esiziale sul piano della coesione e della crescita sociale, politica, economica e culturale.

proif. Gianfranco Macrì - Università degli Studi di Salerno

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