Fonte: Il Quiotidiano del Sud del 31.10.2017

È dal 2004 che sostengo che il vero cambiamento dell'ordinamento passa dal sensibile decremento delle autonomie locali. Troppi e ingovernabili i Comuni, più che da dimezzare. Inutile oramai l'esistenza delle Province, da cancellare.

Anche le Regioni devono essere riesaminate nel loro attuale esercizio istituzionale, dedicando qualche pensiero in più sulla utilità di macro-aggregarle. Di certo, vanno revisionate nel loro modo di essere essenzialmente centri di spesa fine a se stessa e poco istituzioni dedite alla programmazione intelligente, specie dei fondi comunitari oramai destinati ad una consistente diminuzione, alla legislazione illuminata e ad un controllo efficiente. Insomma, occorre mettere mano (ma soprattutto testa) all'ordinamento territoriale, prioritariamente per ridare al sud una concreta chance di crescita. Le precauzioni comuni Quanto ai Comuni, ben vengano le fusioni. Ma fatte con iudicio e assistite da una legge regionale seria, quella che in Calabria non c'è (ma c'è una buona proposta di legge Sergio-Greco inconcepibilmente non approvata). E ancora. Da un impegno improbo delle intelligenze autoctone dedicato: alla predisposizione delle analisi sul campo destinate a scandire la storia nella corretta traduzione dell'attualità; alla elaborazione degli studi di fattibilità; agli strumenti previsionali e progettuali; alla trasformazione del sogno in realtà e non già in un incubo. Un lavoro non perfezionato sino ad oggi, così come invece si sarebbe dovuto assicurare nelle due fusioni della Presila e dell'Alto Jonio. In entrambe potrà essere comunque fatto ciò che serve, solo che si voglia superare abbondantemente l'esame di riparazione. Le forze in gioco ci sono. Manca solo di coordinarle efficacemente e organizzarle a tal punto da generare la migliore governante per il domani. La Regina merita di più Sul panorama delle aggregazioni locali calabresi, sta assumendo concretezza la regina delle fusioni: la grande Città di Cosenza. Il tema va affrontato con ragionevolezza e profondo altruismo. Perché ciò si realizzi occorre che venga messo da parte ogni genere di campanilismo, di inutile rivalità territoriale e di insana voglia di primato. Le fusioni non si fanno per prevalere su altre realtà cittadine, guai ad inseguire siffatte logiche, si alimenterebbe la soluta stupida e perniciosa concorrenza tra territori del medesimo «rango» e spesso dalle stesse origini. Nel percorso di fusione - che dovrebbe rappresentare il concentrato della democrazia rappresentativa (l'impulso), partecipativa (il referendum) ed evolutiva (rimessione della decisione finale alla Regione) - ci si misura, di certo, sul piano della convenienza e degli egoismi territoriali non dimenticando però di lavorare per un insieme unitario. Un insieme imprescindibile ove gli «avversari» non sono gli omologhi, ovverosia chi ha generato un analogo percorso aggregativo, bensì la povertà, la disoccupazione, l'improduttività, la insicurezza cittadina quasi ovunque in pericolo, e la bassa qualità del vivere civile. Questi sono i nemici che vanno combattuti e vinti, nella logica del riordino e della programmazione regionale, che tuttavia tarda ad esserci. Per riuscire nell'intento occorrono la saggezza delle scelte, la buona pratica amministrativa e il migliore progetto di città e del suo hinterland. Non è dunque sufficiente (mal) supporre che il rimedio a tutto è rappresentato dall'utilizzo delle solite agevolazioni (nella legge di bilancio in incremento al 60% dei finanziamenti goduti dai comuni fusi nel 2010 con un tetto massimo di 3 mln), specie allorquando queste occorreranno per sanare qualche bilancio insanabile. Agevolazioni, queste, che a consuntivo, dato il suo meccanismo erogativo fondato sulla disponibilità di un apposito fondo, non saranno neppure pari al quantum sperato. Dunque, buonsenso e lungimiranza sono le armi del saggio amministratore chiamato a decidere, che - prima di tutto - dovrà evitare che la scelta costituisca il motivo per generare faziosità e irragionevoli competizioni. La Calabria è una regione troppo povera per continuare a dividersi ovvero ad accettare teorie divisive buone solo a distrarre, a cura dei soliti «guerrafondai», i cittadini dalla realizzazione dei loro interessi. Quindi, ben venga la fusione di Cosenza con Rende, Castrolibero & Co., ma fatta bene e sotto la stella della migliore conferma scientifica. Una regola ostativa Per farla occorre, tuttavia, preliminarmente escludere la presenza di un verosimile problema ostativo. Esso è rappresentato dall'attuale disciplina del predissesto. Una osservazione datata 2012 - manifestata nel corso di una audizione avanti le Commissioni Affari Costituzionali e Bilancio della Camera, nei lavoro preparatori della legge di conversione del D.L. 174, introduttivo del vigente sistema dei controlli interni ed esterni degli enti territoriali e per l'appunto del predissesto - a fronte della quale occorrerebbe un preventivo parere della Corte dei conti, da richiedersi ex art. 10-bis del D.L. 113/2016, che pare essere in procinto di essere formalizzato dal Presidente Anci. Il problema consiste nella contraddizione degli esiti procedurali della fusione, sul piano della continuità degli enti locali fusi, con l'istituto della procedura di riequilibrio finanziario pluriennale, Cosenza e Rende soggiacciono a siffatta procedura e in quanto tali sono sottoposti alla rigida programmazione del risanamento decennale, peraltro assistita dal Fondo di rotazione, di cui agli art. 243 bis-quater del Tuel. Una condizione che non consente, al di là delle occasioni previste dall'ordinamento giuridico, alcuna modificabilità ai rispettivi piani decennali di ripianamento, pena le dichiarazioni sanzionatorie di dissesto. Ebbene, la fusione tradizionale (per unione) comporta l'estinzione dei comuni che la generano e quindi il venir meno del soggetto a suo tempo autorizzato alla frequenza della particolare procedura di predissesto. Cosa diversa accadrebbe nell'ipotesi di fusione per incorporazione - del tipo quella affrontata dal Comune di Pescara, tuttora in corso nonostante un referendum datato maggio 2014 - affrontabile per la grande Città di Cosenza, quale città incorporante, con il difetto però di trovarsi dissestata la città sua partner più naturale, Rende, condannata al predissesto, a suo tempo, opzionato improvvidamente. Una scelta generativa di non pochi danni alla collettività, forse anche risarcibili, in termini di illegittima imposizione di maggiori costi sociali.

Prof. Ettore Jorio - Docente Uni.Cal.

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