La mia prima esperienza nel parlamentino universitario, a Trieste, dove ero stato eletto con una valanga di voti, nelle file della compagine liberale dell’A.G.I. (Associazione Goliardica Italiana), benché forte di una solida maggioranza assoluta, non fu soddisfacente dal punto di vista dei risultati ottenuti, dal momento che ogni atto doveva ottenere il gradimento della “politica politicante”, quella che proveniva dagli organi dei partiti nazionali.

Lo ritenni degradante nei confronti di giovani dotati di grandi capacità organizzative e marcato spirito di indipendenza. Per cui, alla successiva tornata elettorale, ritenni opportuno tagliare i perversi cordoni ombelicali con la “Politica” dei partiti e, ovviamente, con i doviziosi fondi messi a disposizione dai partiti nazionali che condizionavano la vita universitaria, fondando una lista di “INDIPENDENTI”. In quindici giorni avevo provveduto alla raccolta delle firme ed alla formazione della lista formata, in gran parte, da ragazze della facoltà di lettere e ragazzi della facoltà d’ingegneria. La cosa che destò maggior attenzione da parte degli osservatori politici della stampa giornalistica fu la convivenza, nella stessa lista, di una ragazza ebrea, molto spigliata e spregiudicatamente anticonvenzionale, e di un ragazzo iraniano, di fede islamica, che abbinava lo studio con l’attività commerciale, patrocinata dal suo paese in cui, allora, regnava lo Shah, di vendita di tappeti persiani. Credo sia stato un caso unico ed irripetibile, nella travagliata storia dell’umanità, di un distacco da vincoli etnici e religiosi, per conferire un carisma di indipendenza agli “Indipendenti”. La campagna elettorale fu condotta, da noi, all’insegna di una molto apprezzata povertà “francescana”. Le altre formazioni scesero in campo facendo sfoggio di manifesti a stampa, e di dépliant in carta patinata, forniti dalle collaudate macchine elettorali dei vari partiti. Noi ci limitammo ad un unico manifesto, disegnato su carta lucida, con l’armamentario a disposizione degli studenti di ingegneria, china e pennarelli, e poi le copie eliografiche, molto meno costose di quelle tipografiche, debitamente colorate a pastello. Il soggetto era unico: tanti palloncini colorati con le relative sigle PCI, PSI, DC, PRI da ognuno dei quali pendeva un filo, con un amo, che scendeva a pescare voti, rispettivamente per UGI, INTESA, AGI ecc. I commenti che coglievamo erano unanimi: poverini, non hanno soldi, fanno tutto a mano. Si vede che sono veramente Indipendenti. E poi, la loro satira è intelligente. Ed i volantini provenivano dal glorioso “ciclostile”, una rudimentale “copiatrice” ad alcool, messa a disposizione da compiacenti bidelli, che ripeteva fedelmente ciò che avevi scritto o disegnato. Bisognava solo girare una manovella e ricaricare di alcool. Questo compito lo svolsero i cosiddetti “angeli del ciclostile”, le ragazze di lettere, Maria Carla, Mariarosa, Annamaria, nuove vestali di quella missione, che svolsero, disinteressatamente, con pazienza e dedizione, ed alle quali andrà sempre il mio grazie. A noi maschietti, invece, toccò il compito della propaganda scritta sui muri e sull’asfalto. Con poche lire, acquistammo un chilo di gesso in polvere che poi sciogliemmo in un contenitore metallico di biscotti. E, di notte, mentre Giovanni teneva la scatola, Federico sceglieva i punti più importanti, Ciccillo osservava eventuali passaggi della macchina della polizia, io intingevo il pennello e.... Tappezzammo tutta l’area antistante all’università con chiare e vistose scritte: VOTA INDIPENDENTI LETTERE VOTA COMPATTA INDIPENDENTI INGEGNERIA VOTA COMPATTA INDIPENDENTI Ed avvenne il miracolo. Le ragazze di “lettere” votarono in massa per gli Indipendenti. Gli studenti d’ingegneria, di solito, snobbavano, schifati, questa forma di inaffidabile “suffragio”, buttando, con un ormai risaputo “atto di forza”, l’urna elettorale in una vasca antistante la sede di “Villa Irene”, con una sprezzante rinuncia a partecipare a quello che definivano lo stucchevole rito di una falsa partecipazione all’autogestione dei fondi universitari. Per la prima volta, nella storia, quell’anno l’urna arrivò indenne allo spoglio, con il suo prezioso carico di consensi per gli Indipendenti. Io, con la mia Vespa, facevo la spola per accompagnare ai seggi le ragazze che venivano da fuori, friulane, che avevano i minuti contati, dovendo prendere il treno per il rientro. Ci fu la volta che Vera Puiatti mi affidò una collega friulana che aveva appena il tempo di votare e poi prendere subito il treno. Pensando che Vera l’avesse già istruita sul come e per chi votare, la condussi al seggio, senza impartirle ulteriori istruzioni, ed attesi che entrasse in cabina. Nel mentre faceva la fila, notai un suo lungo fitto parlottio con un candidato della sinistra, scrutatore in quel seggio che, con molta probabilità, aveva avuto modo di conoscere in altre occasioni. Capii che avevo commesso la leggerezza di non averla erudita. Quando uscì mi fece notare che era già in ritardo per il treno e mi sollecitò a far presto per raggiungere la  stazione.  -Sì  cara,  partiamo  subito,  ma  dimmi,  per  chi  hai  votato? -Ma per te, per chi se no? -Ah sì, e dimmi, come  mi  chiamo? Diventò rossa e cominciò  a balbettare, vistosamente impacciata,  dopo lunghi pensamenti, qualcosa come Buiati o Buratti. -Bambina, per prendere pe fesso Ernesto ci vuole ben altra levatura culturale. – E non mi accompagni alla stazione ? - -Meglio di no. Per il tuo bene. Perché non vorrei che, colto da raptus, invece di farti salire “sul” treno ti possa buttare “sotto” il treno. E giù lacrime a dirotto, e disperazione per l’imprevisto ritardo che avrebbe fatto impensierire il papà e la mammina. E fu la volta che mi sentii veramente oltremodo soddisfatto della mia ...”cattiveria”. Le dissi semplicemente: Sei una stronza. Nonostante tutto fu un trionfo. Gli indipendenti ottennero quattro seggi.  Il “Piccolo”, quotidiano triestino, titolava: “Ernesto Scura”, leader degli Indipendenti, ottiene un notevole successo alle elezioni della rappresentanza universitaria”. Era la consacrazione, dopo una campagna denigratoria che ci voleva “incolti” e “qualunquisti”, identicamente a come, molto tempo dopo,  fece la stampa di sinistra nei confronti di Berlusconi. Come finì? Incominciò a contattarci la sinistra comunista, tramite colui che, in seguito, sarà un parlamentare di lungo corso, Antonino Cuffaro: -Ernesto, ritieni che possiamo fare qualcosa insieme? - Ma certo, tutti uniti contro i vostri nemici di sempre, servi della Confindustria e “longa manus” del Vaticano, i democristiani della sempre da voi disprezzata “Intesa”. Era una palese provocazione, nel senso di un invito a rinnegare il perverso piano “consociativo” che stavano allestendo, in  campo  nazionale,  comunisti  e  “comunistelli  di  sagrestia”.  -Ma  no, Ernesto, come si fa... -Si fa, è semplicissimo. Lo dicono i numeri. Basta volerlo. È ovvio che, a ruoli, invertiti, la stessa risposta l’avrei data ad un eventuale esponente democristiano. Non se ne fece nulla. Capii che DC e PCI si...volevano troppo bene per rompere un idillio che stava appena iniziando. Come finì? Come nessun triestino avrebbe mai immaginato. Pur di formare una giunta, cattolici e comunisti ricorsero al vergognoso appoggio dell’unico rappresentante dell’odiata minoranza slava, titina e comunista che, per  una città come Trieste, significò un omaggio agli infoibatori di Tito, ed un’ultima pugnalata agli infoibati. E non è da escludere (anzi ne sono certo) che uno degli eletti dei miei “Indipendenti”, in cambio dell’assegnazione del posto gratuito alla Casa dello Studente, di Buoni mensa gratuiti e di sostanziosi Buoni Libro, abbia assicurato la sua “desistenza” ai dibattiti rappresentativi, assicurando stabilità a quella risicata maggioranza. Ne uscii nauseato. Preferii disinteressarm ulteriormente di...politica. Era più gratificante caricarsi in sella alla Vespa una compiacente “mula”, e farsi un giretto fino al parco di Miramare...e respirare un po’ di aria pura. E sapeste come si accorda l’armonia del canto degli uccellini con le effusioni amorose, in riva al laghetto dei cigni.

 Ernesto SCURA

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