di Emanuela Piemontese Università Sapienza di Roma (Fonte: www.linguisticamente.org)

Come si è detto nella prima parte di questo contributo, per don Lorenzo Milani la scuola è l’unica via per garantire a tutti il possesso e il dominio sulla parola, sulla lingua, per imparare ad orientarsi e a muoversi nel mondo.

Questo obiettivo traeva ispirazione dai principi fondamentali della nostra Costituzione, che richiedono tuttora l’impegno di tutti perché i diritti siano oltre che garantiti anche rispettati affinché tutti i cittadini possano partecipare consapevolmente e pienamente alla vita sociale, politica e culturale del Paese. Come riuscirci? A questo popolo non manca questa o quella lingua, ma semplicemente “la lingua”. Il mezzo di espressione di qualcosa che vada appena al di là e al di sopra del trito viver quotidiano campagnolo e terreno. (…) E dunque io non mi abbasso a lui, ma innanzo lui a me. Non m’ammalo della sua malattia, ma risano lui alla mia salute, alla mia normalità di “homo sapiens”. (Milani, 1958)

Infatti era sua profonda convinzione che

Chi sa volare non deve buttar via le ali per solidarietà coi pedoni, deve insegnare a tutti il volo (Ibid.: 192).

La scuola perciò diventò per don Milani il ‘campo di addestramento’ al volo che non solo doveva essere aperto a tutti, ma doveva garantire a tutti il raggiungimento degli obiettivi formativi previsti dalla Costituzione durante gli otto anni della scuola dell’obbligo. L’evasione scolastica, l’abbandono precoce, la ‘mortalità scolastica’, ancora elevatissima a metà degli anni Sessanta, nonostante la riforma della scuola media unificata del 1962, l’assoluta inefficacia della didattica linguistica tradizionale, sono i temi trattati prima in Esperienze pastorali, successivamente nella più nota Lettera a una professoressa, nata dopo l’ennesima bocciatura di alcuni alunni preparati da don Milani per l’esame di licenza media. La Lettera esce nel maggio del 1967, solo un mese prima della morte di don Milani. Della didattica tradizionale, totalmente inefficace con i ragazzi che appartenevano a classi sociali appena affacciatesi nella scuola di base, gratuita e obbligatoria, apparivano complici, forse inconsapevoli, gli insegnanti. Il loro comportamento finiva per privilegiare i Pierini, figli del dottore già privilegiati, e penalizzare i Gianni, figli di operai e contadini semianalfabeti, già penalizzati per le umili condizioni socioculturali delle loro famiglie. I dati presentati nella Lettera, elaborati sulla base degli Annuari statistici dell’Istat e riportati nell’appendice, vengono incrociati tra di loro e dimostrano chiaramente che la selezione colpisce pesantemente gli alunni di famiglie povere, di operai e contadini. La situazione di progressiva esclusione negli otto anni di scuola obbligatoria viene rappresentata sotto forma di piramide:

Dalle elementari in su [la piramide] sembra tagliata a colpi d’ascia. Ogni colpo una creatura che va a lavorare prima d’essere eguale(Scuola di Barbiana, 1967:37).

 Le conseguenze di questa decimazione a svantaggio dei tanti Gianni che arrivavano a scuola già svantaggiati socio-culturalmente e linguisticamente erano numerose sia sul piano individuale che sociale. In effetti la scuola non solo non riusciva a colmare le differenze di partenza, ma finiva paradossalmente per aumentare le diseguaglianze proprio sulla base della lingua dei ragazzi che diventava lo strumento di selezione principale. Perciò nella Lettera si legge: L’abbiamo visto anche noi che con loro [i Gianni] la scuola diventa più difficile. Qualche volta viene la tentazione di levarseli di torno. Ma se si perde loro, la scuola non è più scuola. È un ospedale che cura i sani e respinge i malati. Diventa uno strumento di differenziazione sempre più irrimediabile (Ibid.: 20).

I danni creati dalla selezione scolastica, oltre a fare danno agli ‘scartati’, faceva danno anche più profondo agli ‘scelti’. Perché? Perché, secondo gli allievi di don Milani,

la cultura vera, quella che ancora non ha posseduto nessun uomo, è fatta di due cose: appartenere alla massa e possedere la parola. Una scuola che seleziona distrugge la cultura. Ai poveri toglie il mezzo di espressione. Ai ricchi toglie la conoscenza delle cose. (Ibid.: 105)

La selezione operata dalla scuola sulla base del possesso della lingua e della capacità d’uso produce due categorie di infelici: quella di Gianni, disgraziato perché non sa esprimersi, lui che appartiene al mondo grande dell’Africa, dell’Asia, dell’America Latina. E quella di Pierino fortunato perché sa parlare. Disgraziato perché parla troppo, pur non avendo nulla da dire, avendo letto solo libri, chiuso in gruppetti raffinati e tagliato fuori dalla storia e dalla geografia.

La critica qui espressa è chiara. La scuola contravviene al suo dovere che è aiutare tutti a ‘impadronirsi della lingua’ per essere eguali, come recita l’articolo 3 della nostra Costituzione e non usare proprio la lingua per selezionare nella scuola dell’obbligo chi la dovrebbe imparare al suo interno negli otto anni di scuola, possibilmente otto anni di scuola diversa.

 Perché è solo la lingua che fa eguali. Eguale è chi sa esprimersi e intende l’espressione altrui. Che sia ricco o povero importa meno. Basta che parli. (Ibid.: 96).

Leggere don Milani oggi ha ancora senso? Sì, se consideriamo almeno due fatti. Da una parte la necessità sottolineata da don Milani e dai suoi alunni di svecchiare la didattica, in generale, e della lingua, in particolare. Dall’altra l’inadeguatezza – tuttora persistente – di metodi e contenuti didattici vecchi di fronte ai notevoli cambiamenti sociali e culturali intervenuti negli ultimi cinque, sei decenni. La lettura dei testi di don Milani, facendo le opportune distinzioni tra le condizioni dell’Italia di oggi e quelle della metà del secolo scorso, offre tuttora, a nostro avviso, preziosi spunti di riflessione sulla scuola e sull’insegnamento della lingua. Accanto agli aspetti per così dire più tecnici delle sue idee sulla didattica della lingua, la lettura degli scritti di don Milani e della Scuola di Barbiana, fatta la tara del tono polemico degli autori della Lettera, ci aiuta a riconsiderare la centralità della funzione del docente e l’importanza della sua formazione e preparazione.

 Di fronte ai bisogni linguistici delle nuove generazioni, alla necessità di rispondere alle crescenti richieste sociali, alle nuove professionalità richieste dai sistemi produttivi avanzati, alla massiccia presenza nelle nostre classi dei ‘nuovi italiani’ (più o meno da noi riconosciuti come tali), la scuola ha su di sé enormi carichi di lavoro e pesanti responsabilità. Questa considerazione dovrebbe suggerire una maggiore e migliore consapevolezza e cura da parte del nostro mondo politico e dei nostri governanti, di qualunque schieramento e colore politico. Invece i vari tentativi, per di più sempre parziali e malriusciti, di riformare qualche tassello della scuola hanno sortito solo l’effetto di burocratizzare la scuola (e anche l’università) senza arrivare però alla soluzione di nessuno dei molti problemi che erano già chiari a don Lorenzo Milani negli anni Cinquanta e Sessanta. E senza che traessero qualche giovamento né i nostri ragazzi e le nostre ragazze né gli insegnanti né l’immagine stessa dell’istituzione scolastica. Con gravi conseguenze sulla vita culturale, sociale e produttiva del nostro Paese, come ampiamente ha spiegato Giovanni Solimine nel suo volume Senza sapere. Il costo dell’ignoranza in Italia (2014).

Alcuni suggerimenti di lettura

A conclusione della nostra parziale presentazione della figura di don Milani, vorremmo suggerire a chi si accosta per la prima volta un percorso di lettura che aiuti a inquadrarlo innanzitutto nel suo contesto familiare, storico e culturale. A questo fine, i primi volumi da leggere, a nostro parere, sono le due raccolte di lettere, quelle di don Milani, Priore di Barbiana e quelle alla mamma. Le prime furono pubblicate la prima volta nel 1970, a cura di Michele Gesualdi, ampliate nelle edizioni successive. Le seconde videro una prima edizione nel 1973 a cura della mamma, Alice Milani Weiss, e una seconda, ampliata e annotata, nel 1990, a cura di Giuseppe Battelli.

Ricco di foto, documenti originali e inediti, tratti dall’archivio della famiglia Milani, è il volume della nipote diretta di don Milani, Valeria Milani Comparetti, che ha un titolo suggestivo: Don Milani e suo padre. Carezzarsi con le parole, uscito nel 2017 con informazioni più precise e dettagliate sulla famiglia Milani. Si arriva così a essere pronti a leggere le Esperienze Pastorali che trattano ampiamente tutti i temi trattati da don Milani nei vent’anni della sua attività, nella sua doppia veste di sacerdote e di maestro. Doppia veste che è ben spiegata da lui stesso nella successiva Lettera i Giudici del 1966 (più nota come L’obbedienza non è più una virtù), inviata in occasione del processo subito da don Milani a Roma, conclusosi nel febbraio del 1966 con l’assoluzione in prima istanza e con la condanna nel processo d’appello (sentenza non applicata per ‘morte del reo’). Don Milani infatti fu denunciato per ‘apologia di reato’ per aver difeso alcuni giovani obiettori di coscienza accusati di viltà in un comunicato pubblicato su “La Nazione” del 12 febbraio 1965 da alcuni Cappellani militari toscani in congedo. È utile ricordare a chi è nato dopo gli anni Settanta che la legge che riconosce in Italia il diritto all’obiezione di coscienza è solo del 28 novembre 1977.

Infine la lettura della Lettera a una professoressa rappresenta il culmine dell’attività didattica di don Milani, essendo il risultato di un lavoro di scrittura collettiva degli allievi della Scuola di Barbiana, durato un anno, di cui don Milani, ormai in fin di vita, teneva a rivendicare la sola regia. Ricordiamo infine che, in occasione del cinquantesimo anno della pubblicazione della Lettera a una professoressa e della morte di don Milani, è uscita, nel 2017, l’edizione completa delle opere di don Milani in due volumi per i Meridiani Mondadori. Opera che consente oggi di trovare raccolti tutti gli scritti di don Milani.

Concludiamo precisando che non è stato possibile trattare qui altri temi cari a don Milani. Tra questi ricordiamo uno a noi particolarmente caro, quello relativo al metodo della scrittura collettiva con l’esplicitazione nella Lettera a una professoressa delle tecniche oggettive di scrittura. Questo tema avrebbe richiesto una trattazione ampia anche perché questa ‘tecnica’ che trova nella Lettera a una professoressa la sua formalizzazione conclusiva, ha visto qualche tappa precedente. La più importante è stata sicuramente quella dell’incontro avvenuto tra don Milani e Mario Lodi, accompagnato a Barbiana da Giorgio Pecorini, nell’estate del 1963. A questo incontro ha fatto poi seguito un breve ed intenso scambio epistolare tra i due maestri e i rispettivi allievi, quelli di Barbiana e quelli della Scuola di Piadena proprio sui metodi da loro seguiti nella scrittura (Lodi, Tonucci, 2017).

Uno degli studiosi più attenti e sicuramente il più acuto nell’analisi del pensiero linguistico di don Milani è stato Tullio De Mauro. Dalla metà degli anni Sessanta la sua attenzione verso don Milani è stata costante, ed è ampiamente documentata sia nei suoi numerosi scritti teorici (De Mauro, 1994) sia negli interventi giornalistici, più divulgativi (De Mauro, 1977). Teniamo a ricordare il debito di riconoscenza anche verso don Milani e i suoi scritti che De Mauro dichiara di avere nella definizione delle Dieci tesi per un’educazione linguistica democratica. Si tratta del manifesto programmatico, di carattere teorico ed applicativo, del Giscel (Gruppo di intervento e studio per l’educazione linguistica), associazione di insegnati costituitasi nata in seno alla SLI (Società di Linguistica Italiana) nel 1973. Come si vede la storia e la strada dell’educazione linguistica democratica in Italia è stata lunga, ma molto resta ancora da studiare, approfondire e applicare, a cominciare dai suoi principi fondamentali: dare la lingua a tutti, non a uno di meno.

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