La strage nel cantiere dell'Esselunga di Firenze, con il passare dei giorni, rivela tutta una serie di anomalie che, nonostante, i soliti ed inopportuni proclami di chi solo adesso si accorge, di una vera e propria emergenza, che da anni sta interessando la sicurezza sui luoghi di lavoro.

A farci capire uno dei tanti aspetti inquietanti della strage di Firenze c'è un interessante articolo di Filippo Fiorini sul quotidiano "La Stampa" di Torino pubblicato ieri venerdì 23 febbraio a pagina 17 e che noi qui di seguito vi proponiamo.

Fonte: La Stampa di Torino del 23.02.2024 pagina 17 articolo di Filippo Fiorini

Il cantiere adesso è silenzioso. Attorno, Firenze vive, ma in quel rettangolo di 17 mila metri quadrati, ora possono entrare solo gli inquirenti. Doveva diventare il decimo supermercato Esselunga in città e non è detto che questo accada mai, perché per 100 ore quell’opera è stata la tomba di cinque uomini che lavoravano alla sua costruzione, sepolti nel crollo del terzo piano. Da quando mercoledì l’ultimo di loro è stato estratto dalle macerie, l’area è classificata come scena del crimine. Omicidio colposo plurimo e crollo colposo, secondo la procura. Una colpa che tutte le molte parti coinvolte ora si gettano addosso reciprocamente, parlando di un difetto di fabbrica nella trave che ha ceduto, oppure, di un errato montaggio da parte degli operai, o ancora di un vizio di progettazione. Poi, a margine, resta viva l’aggravante del lavoro nero. E non solo quella: «Volevano solo sfamare le loro famiglie. E in quel cantiere, mi hanno raccontato, c’era anche il caporalato» racconta ora Izzedin Elzir, imam di Firenze. I parenti di tre delle cinque vittime hanno ingaggiato un avvocato. Si tratta delle mogli di El Farhane, Haidar e Bouzekri. Sono i tre marocchini, travolti il 16 febbraio, insieme al tunisino Mohamed Toukabri e l’italiano Luigi Coclite. Le donne sono in Marocco con i figli. Le tutela Alessandro Taddia, titolare di un’infortunistica con sede a San Marino. Dice: «I colleghi delle vittime hanno riferito che la trave aveva crepe visibili a occhio nudo». Parla della trave che ha ceduto alle 8,52, mentre Coclite governava la gettata di cemento con la manica della betoniera e gli altri quattro stavano sul solaio che poi è collassato. Nell’immediatezza dell’accaduto, residenti del quartiere che preferiscono l’anonimato, hanno riferito un’impressione analoga: «La trave sembrava umida», come se non fosse conclusa la necessaria asciugatura. Taddia precisa che «per ora queste sono solo voci». E ha inviato i propri periti ad affiancare quelli della magistratura. Sono stati presi dei campioni e si aspetta il risultato delle analisi. Intanto la Rdb di Teramo, produttore del pezzo incriminato, ha rivendicato un lavoro a regola d’arte e rispedito le insinuazioni al mittente: «La colata di cemento è incominciata prima che la trave fosse fissata alla colonna», hanno detto mentre la polizia perquisiva gli uffici e sequestrava pc, cellulari e prefabbricati pronti per essere spediti a Firenze. Per loro, il perno che unisce trave e colonna non era avvitato, oppure, il dente che sorregge la trave ha ceduto. Questo scenario viene contraddetto da un’altra delle decine di aziende coinvolte nella criticata catena di subappalti. Dalla Mina srl di Fidenza, che ha mandato le gru a Rifredi per muovere i prefabbricati, ieri, hanno detto: «La trave che ha ceduto era già stata ancorata prima di Natale e le successive sono state montate a gennaio». Proprio a gennaio, in cantiere c’era stata l’Asl. Non aveva trovato irregolarità. Mentre il procuratore fiorentino Filippo Spiezia da quando ha aperto le indagini dice di aver visto «molte criticità». Una di queste è certamente il lavoro nero. L’imam di Firenze, Izzedin Elzir, ha confermato che nei giorni immediatamente successivi alla tragedia, tre operai nordafricani, regolari in Italiano, dipendenti di una ditta fiorentina e dislocati in quello stesso cantiere, lo hanno avvicinato per «chiedere se fosse corretto dal punto di vista religioso che i loro datori di lavoro pretendessero la restituzione in contanti di parte dello stipendio». Sette euro da ridare, su 12 l’ora in busta paga, ogni mese, per un anno. «Mi hanno detto che se non fossero arrivati i nuovi operai, sotto al piano crollato ci sarebbero stati loro», ha raccontato il religioso che non ricorda il nome della ditta che li impiegava. I «nuovi operai» sono quelli che sono morti. Con le autopsie iniziate ieri, l’avvocato Taddia ha fiducia nel dissequestro dei resti e nel poter far arrivare le salme nelle rispettive patrie entro domani. «Molti parlano di lavoro nero (due delle vittime sarebbero state senza permesso di soggiorno, ndr), ma questo non cambia la nostra legittima richiesta di risarcimento per le famiglie – spiega il legale – che sarà rivolta contro il committente principale». Si tratta de La Villata spa, immobiliare partecipata al 100% da Esselunga e presieduta dall’ex ministro Angelino Alfano. Oltre al risarcimento, ai parenti preme la celebrazione delle esequie. Lo ha detto subito Sarhan Toukabri, fratello di Mohammed, l’unico tunisino. Lo conferma l’imam Elzir e racconta: «Quei ragazzi mettevano da parte i soldi per tornare a casa durante il ramadan». Invece, oggi alla moschea di Firenze si invocano le loro anime nel tradizionale rito funebre musulmano. Poi, nonostante le speranze, è più probabile che arrivi prima l’iscrizione di un nome nel registro degli indagati, ancora contro ignoti, che il dissequestro di resti tuttora non identificati, per la gravità delle ferite che li hanno uccisi.

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