Fonte battesimale bizantino

Uno dei miei ricordi indelebili è quello del mio battesimo. Molti, direi tutti, storceranno il muso, increduli. E invece è la pura verità. Perchè? Perché fui battezzato che avevo 9 anni.

Siccome la scelta del padrino era caduta su un parente che abitava a Cosenza, e siccome allora (sono nato nel 1933) i collegamenti col capoluogo di provincia erano assicurati  unicamente dai treni che impiegavano la bellezza di oltre  due ore e oltre la schiavitù del cambio alla Stazione di Sibari, con ulteriore sosta in attesa della coincidenza, non è da meravigliarsi se quel padrino non avesse poi tanta voglia di sobbarcarsi all’infelice penitenza. Ma giunto a nove anni, poichè tutti addebitavano il mio carattere ribelle all’assenza di quel sacramento, m’imposi e, finalmente, si conciliarono le difficoltà di trasporto con la negligenza del parente che, bontà sua, pose termine agli indugi e aderì alla scelta della  data ( Luglio 1942 ) e al rito religioso greco-cattolico, che era  quello della mia famiglia, originaria di Vaccarizzo Albanese, officiato da un Papàs con la barba, nella più che suggestiva  liturgia in lingua greca. Mi fu risparmiata l’immersione nel fonte  battesimale, limitando l’abluzione alla sola aspersione.  Seguì un ricco rinfresco dove non mancò il gelato, pur tra le  tante ristrettezze alimentari imposte dalla guerra. La mia madrina fu Grazia Aceto della quale conservo un perenne ricordo di gratitudine. Zia Grazia. Fresca sposina  di Alessandro De Rosis, entrambi insegnanti elementari, nel 1943 ebbe appena il tempo di restare incinta del figlio Pasqualino che il marito fu richiamato sotto le armi, col grado di tenente. Ritennero opportuno che lei venisse ad abitare con la madre, nell’appartamento sopra casa mia, per non restare sola in quel delicato momento aggravato dal mancato conforto del marito. Lui faceva servizio a Napoli, e già la cosa era rassicurante. Non era al fronte. Dopo l’8 settembre del 43 di Alessandro non si  ebbero più notizie. E intanto, a Corigliano, sulla strada statale, sotto casa nostra, passava tutta la 5ªarmata americana e tutta l’8ªarmata inglese di Montgomery. E lei, zia Grazia, mi suggeriva di chiamare quei  soldati in modo confidenziale, George se inglesi e Johnn se  americani, e non ci fu una volta che non mi riempissero di ogni ben do Dio, come bisquit, cioccolata e sigarette. Intanto nasceva Pasqualino. Poi un triste giorno Alessandro si  fece vivo con la triste notizia che, a seguito di bombardamento,  gli era stato amputato il braccio sinistro. E finalmente, ripristinate le linee ferroviarie Alessandro tornò. Non dimenticherò mai quella scena. Uscimmo tutti sulle scale e fummo testimoni di un pathos tra i più toccanti. Alessandro saliva lentamente le prime due rampe di scale,con la manica sinistra della giacca flosciamente infilata nella tasca della giacca. Grazia, scendendo per le due rampe superiori, gli  venne incontro, sul mio pianerottolo, con due grosse lacrime  che le scendevano lungo il viso. Non un urlo,di gioia o di dolore che sia,non un lamento. Ma solo  un lunghissimo interminabile abbraccio che era più loquace di mille lamenti. E non nascondo che anche noi, bambini, qualche lacrimuccia l’abbiamo anche versata.

 Ernesto SCURA

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