di Cristian Fiorentino

In attesa di conoscere il caratteristico evento del prossimo 30 settembre, dal titolo “I Miracoli di San Francesco da Paola a Corigliano Calabro”, è necessario conoscere prima l'intrigante storia del miracolo dei “Tre fichi”.

La manifestazione ideata dall’alacre associazione “Ri-Bellezza”, infatti, sarà incentrata sia sul frutto che sulla pianta che, come narrano i testi sacri, è stata sempre molto cara alla religione, alla tradizione Cristiana e a Gesù e, nella fattispecie, alla vicenda specifica che lega un miracolo di S. Francesco compiuto a Corigliano. Lasciando qualche ora di attesa ancora, per scoprire l’ampio programma dell’avvenimento di sabato 30 settembre, è tempo di leggere le vicende che hanno reso unico questo prodigio. Si ringrazia per la concessione del testo l’autore del volume nonché Padre Superiore Giovanni Cozzolino della comunità dei Minimi del santuario di Corigliano.        

 

Dal Libro di Padre Giovanni Cozzolino
“San Francesco di Paola e l’Ordine dei Minimi a Corigliano Calabro”

I TRE FICHI A GIOVANNI MAGRINO E LA PROFEZIA DI SAN FRANCESCO

«Anche se non risulta nelle fonti Minime, subito i primi autori della biografia del nostro Santo, come padre Isidoro Toscano dei Minimi, che scrive nel 1658, riporta il singolare episodio dei tre fichi secchi, molto conosciuto a Corigliano (ciò ci conferma che circolava una Vita sul nostro Santo in città), che riteniamo non solo curioso, ma molto importante.

Afferma il Toscano: «Cavatosi dalla sua manica un pugno di fichi secchi, ne diè due à ciascuno, e à Giovanni Magrino terziario di quest’Ordine, e ricco di bene di fortuna, che facea numero ne gli operai ne diede tre, dicendogli: “Per carità figliuolo, sappiateli con ogni diligenza ben conservare, altrimenti, se voi li separerete, tutte le vostre facoltà, e ricchezza s’abbrucieranno”. E così Giovanni prestando fede alle parole del santo, conservò quei fichi fra le sue cose più care. Indi à molti anni uno de’ suoi discendenti parendogli di tar sicuro di cotal perdittione, diede uno dei quei chi ad un padre di quest’Ordine, per nome fra’ Gio: Battista dell’Angelo suo amico che gliela domandò (ò ineffabile stupore) le seguenti notte s’attaccò fuoco alla sua casa, e frà pochi giorni gli morirono tutti i suoi bestiami, sì che per tal causa diventò tanto povero, che gli fu mestier andar mendicando per poter vivere. Avverossi la profezia, non già nella persona di Giovanni, che per tutto il tempo in cui egli visse, conservò i fichi con diligenza, e li custodì con gelosia; ma in uno dei suoi discendenti, il quale pago di ritenerne presso di sé due soli, dell’altro a padre Giambattista di Angelo, dell’Ordine dei Minimi, suo molto caro amico, fece dono. Ma non guarì appresso ne sentì egli la pena, dacché nella seguente notte la sua casa restò incenerita, e non molti giorni di poi tutto il bestiame estinto; onde il cattivello si vide costretto a mendicare vergognosamente il pane, per poter miseramente mantenere la sua vita. La sorte finalmente di quei tre fichi secchi andò in tal guisa. Quei due, che restarono presso il Magrino, insieme con tutto il mobile della sua casa, furono pabolo alle fiamme; né di essi mai tra quelle ceneri rinvenir se ne potè alcun segnale. L’altro, che al suddetto padre Giambattista da lui fu donato, pervenne poi nelle mani di Giambattista Solazzo, facoltoso uomo di Corigliano, il quale entro un vaso di cristallo li rinserrò, e sommo studio pose nel conservarlo fra le sue cose più sante. Da Giambattista Solazzo passò poi a Baldassarre suo figliuolo ed erede, e da questi a don Francesco, che al presente ne custodisce il bel tesoro, or sono dieci anni, diede a noi il comodo di considerarne insieme e di ammirarne il gran portento».

Da ciò, comprendiamo che San Francesco diede i tre chi secchi a Giovanni Magrino nel 1476 e che Giovanni Magrino, poiché la regola del Terz’Ordine dei Minimi viene approvata nel 1506, è uno dei primi terziari di Corigliano; ancora, deduciamo che Giovanni Magrino certamente avrebbe potuto deporre nella seduta del 19 gennaio 1513 del Processo Cosentino tenutasi a Corigliano, essendo un caro amico del nostro Santo, ma, se non appare come teste, significa che nel 1513 era già morto.
Nel 1596 (anno in cui accadono importanti avvenimenti per la nostra città) riappare un altro Magrino, di nome Adriano, che riteniamo discendente di Giovanni Magrino, che diede il fico, secondo noi, a padre Giovambattista De Angelis e non di Angelo come erroneamente viene chiamato, dell’Ordine dei Minimi, che nel 1598 faceva parte della comunità di Corigliano, per i seguenti motivi.

Adriano Magrino è colui che nel 1596 si ricorda perfettamente delle profezie quando il nostro santo mette la prima pietra «interrogò quei cittadini se già mai erano entrati i turchi e pure se in questo tempo i grilli avessero danneggiato le loro vigne; gli fu risposto di no no a quel tempo; ed io (replicò egli) che questo verrà meno dal suo fondamento, in codesta vostra terra si vedranno cotesti mali»; nel 1596 la nostra chiesa venne chiusa per una lite di giurisdizione tra i minimi con il vescovo, quindi «cade la prima pietra»; nel 1596 vi fu l’invasione dei grilli; nel 1596 vi fu l’invasione dei turchi: è questa la più terribile delle invasioni ed è in questa occasione che il nostro San- to puntella con la canna la porta della chiesa; nel 1596 Corigliano viene liberata perché si risolve la lite tra i minimi e il vescovo, e i turchi vengono respinti più per il coraggio della popolazione, che si sente protetta dal nostro santo e non tanto per opera di Pietro Antonio Sanseverino; nel 1598, a furor di popolo, per questi eventi miracolosi, tutta la cittadinanza di Corigliano proclama Patrono San Francesco di Paola; riteniamo che nell’euforia di questa liberazione di Corigliano, Adriano Magrino abbia dato uno dei tre fichi secchi a padre Giovambattista De Angelis, che nel 1598 è di comunità a Corigliano.

Il fico secco dato a padre Giovambattista De Angelis viene donato a Giambattista Solazzo agli inizi del 1600, poi al figlio Baldassare e poi, nel 1648, al figlio Francesco, ed è quello che vede padre Isidoro Toscano nel 1658.

I Solazzo-Castriota lo custodiscono per secoli in un’apposita teca, nella cappella del loro palazzo, dove continuava a tenerlo la duchessa di Bovino, loro erede. Se ne persero le tracce dopo il fallimento a causa di debiti, nel 1932, della duchessa, che si trasferì altrove in quello stesso anno». 

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