Vangelo di Marco 14,12-16.22-26: Il primo giorno degli Àzzimi, quando si immolava la Pasqua, i discepoli dissero a Gesù: «Dove vuoi che andiamo a preparare, perché tu possa mangiare la Pasqua?».

 

Allora mandò due dei suoi discepoli, dicendo loro: «Andate in città e vi verrà incontro un uomo con una brocca d’acqua; seguitelo. Là dove entrerà, dite al padrone di casa: “Il Maestro dice: Dov’è la mia stanza, in cui io possa mangiare la Pasqua con i miei discepoli?”. Egli vi mostrerà al piano superiore una grande sala, arredata e già pronta; lì preparate la cena per noi». I discepoli andarono e, entrati in città, trovarono come aveva detto loro e prepararono la Pasqua. Mentre mangiavano, prese il pane e recitò la benedizione, lo spezzò e lo diede loro, dicendo: «Prendete, questo è il mio corpo». Poi prese un calice e rese grazie, lo diede loro e ne bevvero tutti. E disse loro: «Questo è il mio sangue dell’alleanza, che è versato per molti. In verità io vi dico che non berrò mai più del frutto della vite fino al giorno in cui lo berrò nuovo, nel regno di Dio». Dopo aver cantato l’inno, uscirono verso il monte degli Ulivi.

Commento al Vangelo di oggi:

Non ci sono dubbi: anche Gesù, durante la sua vita terrena, ha pianto, ha provato dentro di se l’angoscia e la paura che accompagnano ogni forma di dolore. Ha pianto di fronte al sepolcro dell’amico Lazzaro, si è commosso per la figlia della vedova di Nain, piange ammirando la città di Gerusalemme e pensando alla sua distruzione. Egli è Colui che condivide il dolore, le lacrime con coloro che piangono. Gesù ascolta ancora oggi il grido di disperazione di tanti poveri costretti a elemosinare un avanzo tra i cumuli di rifiuti che si trovano nelle periferie delle grandi città; asciuga le lacrime di tante mamme che piangono i loro bambini stroncati dalla fame o i propri mariti dilaniati da una mina anti uomo mentre lavoravano nei campi o raccoglievano un po’ di legna. La violenza, l’avidità, l’egoismo, con tutti i mali che essi comportano, hanno reso falso il mondo e coloro che vi abitano e recano dolore al Figlio di Dio. Possono sembrare strane queste considerazioni oggi che celebriamo la festa del Corpus Domini, il mistero di una presenza, di Gesù che, nel nascondimento, rimane e rimarrà sempre presente nella storia e nella vita degli uomini. Ma il mistero Eucaristico lo si comprende meglio partendo dagli occhi velati di lacrime. Il pane che scende dal cielo è impastato con il sudore e i segni della sofferenza umana, il vino mescolato con poche gocce d’acqua diventa il vero sangue di Gesù perché sgorga da un costato trafitto dall’umana cattiveria. Il Sacrificio di Cristo, il suo Memoriale continua a perpetuarsi tra i sassi e la polvere dei “Golgota” di ieri e di oggi; finché ci sarà una lacrima, un tradito, un abbandonato, un reo continuerà a perpetuarsi il Sacrificio dell’Altare. Nell’eucarestia si incontrano e si fondono l’amore di Dio e il mistero della sofferenza umana, le lacrime di coloro che giacciono, come Giobbe, su un mucchio di letame e la luce della risurrezione che terge ogni debolezza e riveste di una candida veste il lutto della morte. Nell’Eucarestia c’è tutta la vita di Gesù “fatta di parole vere come le beatitudini e le parabole, di gesti buoni come le guarigioni dei malati e la liberazione degli indemoniati”; c’è la certezza che la potenza della morte è stata vinta dalla debolezza di un Dio che ha osato sedersi sui letamai dei “Giobbe” di sempre.

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