Giovanni Colosimo
Vigoroso nel corpo e dolce nell’animo, il suo viaggio terreno fu lungo ed esemplare. Il giorno del commiato, l’11 gennaio del 2002, in Napoli, città di adozione, era novantenne ed il suo nome già iscritto nell’albo d’onore degli Italiani buoni e saggi. Lui, Giovanni Colosimo, il segno della bontà e della saggezza lo aveva lasciato ovunque, indelebile, nel mondo della scuola e della politica ed, in egual misura, nel cuore degli amici e dei familiari.
Ultimo di dieci figli, era nato a Corigliano, il 19 ottobre del 1912, in una casa modesta di beni, ma robusta di sentimenti e di virtù. Da quella casa, che si affacciava sullo slargo della chiesa di Santa Maria, crocevia di nove secoli di storia, i Colosimo si trasferirono, nel 1932, sopra l’Acquanova, la piazza più bella del paese, per contorno d’architettura e per pulsar di passioni. Dalla famiglia uscirono, negli anni, sacerdoti di Dio e maestri di scuola, che insegnarono a tante generazioni il catechismo della chiesa e quello della vita.
Avvocato, docente, preside, professore universitario, ispettore ministeriale, provveditore agli studi, amministratore comunale in Napoli, dove, addottoratosi in giurisprudenza, viveva, amabile sposo della Signora Anna e padre diletto di Salvo e di Antonello, per Corigliano e per i Coriglianesi era semplicemente rimasto, con affettuoso dire, don Giovanni e tutti lo ritenevano, anche, uomo di prodigiosa memoria e di sapere sconfinato. Chi si portava a Napoli, a motivo di studio o di lavoro, sapeva che lì c’era l’illustre concittadino e che in lui avrebbe trovato il consiglio e l’aiuto.
Ai traguardi, a tutti i traguardi, negli studi prima e nei concorsi dopo, Giovanni Colosimo giunse sempre primo, andando oltre il voto. Si coglieva nella sua sapienza la ricchezza dei libri e la personale riflessione vissuta, sicché la sua parola era d’oro e dell’oro aveva il suono e la sostanza.
Don Giovanni parlava anche il greco ed il latino e non per vezzo o per accademico sfoggio, ma solo per naturale sintonia, ecco, per impulso imperioso, col tema trattato e con gli interlocutori. Che si disquisisse di diritto o di storia, di filosofia, di teologia o di politica, per il nostro il registro e la qualità erano, allo stesso modo, alti. Chi lo ascoltava, avvertiva il fascino dell’uomo, ne registrava il metro e ne tesorizzava l’avviso.
A me, fanciullo alle prese con i primi rudimenti della bella scuola elementare d’un tempo, l’adoratissima nonna soleva augurare “la mente di don Giovanni”. E quando mio padre, al solito premuroso, alla vigilia del percorso universitario, volle condurmi a lui, perché ne ascoltassi la parola ed il monito, don Giovanni, solenne, nel suo studio, in un doppio-petto di color grigio scuro, mi consigliò di “non affaticarmi”; mi sarebbero stati sufficienti, “all’inizio, cinque ore al giorno di studio”; più tardi, sarei arrivato, “per gradi, a nove-dieci ore al giorno”. Rimasi, ricordo, di ghiaccio. Alla smarrimento, dinanzi a tanto, asciutto consiglio, seguì negli anni l’adesione, faticosa, ma convinta.
Memorie personali, minime, che danno, però, il peso dell’uomo e la misura.
Ebbe mille interessi Giovanni Colosimo, ma la sua specificità la riversò nel mondo della scuola. Aveva la preoccupazione fondata, un giorno confidata anche a mio padre e a suo nipote Gerardo, presso il Provveditorato di Frosinone, che questa, spesso per povertà di mezzi, a volte per negligenza, non sapesse cogliere nei giovani allievi le molteplici potenzialità o non riuscisse a convogliarle al fine ultimo della crescita ordinata. Era convinto, così lessi più tardi in alcuni suoi appunti, e lo proclamò nelle aule spoglie e nei palazzi ministeriali che la scuola, invece, ed essa soltanto, potesse realizzare “l’equilibrio interiore” dei giovani, futuri cittadini e “la serenità sociale”.
Oggi, a Corigliano, è a lui intitolato il Liceo classico ed il suo nome verrà dato alla Casa della cultura, presso il convento delle Clarisse, dove sarà degnamente allocata la sua biblioteca, ottomila volumi, che gli eredi, hanno voluto donare alla comunità coriglianese: il modo migliore, ha dichiarato il figlio Antonello, magistrato della Corte dei conti, perché il papà tornasse a Corigliano, per rimanervi.
Si applicò anche alla politica il Colosimo e qui lasciò il segno della capacità responsabile e dell’onesto sentire. Lui, cattolico e democratico, innanzitutto, per respiro domestico, guardò all’uomo e al suo bisogno. La politica, perciò, cessata l’emergenza costituente, non poteva rimanere campo di battaglia. Era ormai matura la stagione, perché diventasse il terreno privilegiato della fertile mediazione. Tal pensiero lo incarnò nella prassi quotidiana e ciò gli valse l’apprezzamento unanime della gente comune e delle più alte cariche dello Stato. Sindaci e ministri, funzionari e magistrati lo elessero, ad intimo consigliere e lo tennero prezioso amico. Ai titoli aggiunse, così, gli onori, ma non divenne mai ricco, pensando, col severo Menandro, che “la cultura è per gli uomini il possesso più bello”.