Fonte: www.corrieredellacalabria.it

«La lotta alla criminalità organizzata coinvolge tutti. I cittadini non possono delegare il contrasto soltanto alla magistratura o alle forze di Polizia. La società civile non si può più “girare dall’altra parte”.

Serve impegnarsi direttamente, rifuggendo l’atteggiamento di rassegnazione e accomodamento. La ‘ndrangheta è un “problema” di ciascuno: non è solo legato allo sviluppo economico, ma anche al pregiudizio delle libertà fondamentali di ciascuno. Tanto deve e può cambiare». Giovanni Bombardieri, capo della Procura di Reggio Calabria, in una intervista all’Avvenire, chiama la società civile a reagire dopo l’intervento dello Stato nel contrasto alla criminalità organizzata. Il suo timore è «che non si faccia un salto di qualità che è alla portata di tutti». «Politicamente – spiega Bombardieri – si devono investire più risorse sul territorio. La società civile si sta svegliando: è lo Stato che deve coinvolgere maggiormente la gente. Ciascuno secondo le proprie competenze: per la giustizia, ad esempio, occorre maggiore tempismo nelle risposte ai cittadini. Il rischio è sprecare questa grande occasione: così gli spazi lasciati “vuoti” possano essere ri-occupati da nuove leve della criminalità organizzata». A Reggio Calabria, dopo gli arresti, «gli equilibri sono cambiati: i clan devono, nuovamente, tornare a intimidire perché hanno la necessità di riaffermare alla gente comune la propria asfissiante presenza; la gente comune deve decidere di non riconoscere più questo strapotere». È un lavoro di sistema, anche se il magistrato rifiuta l’idea della “squadra-Stato”. «Sono contrario a questa definizione – dice –. La Procura non può far parte di nessuna squadra; il mio Ufficio, per sua natura, persegue fatti illeciti. Possiamo avere “compagni di viaggio” con chi concorre per la crescita legale del territorio, ma non possiamo sentirci “legati” a vincoli di appartenenza a presunte squadre. Sono altri gli Enti che devono lavorare sugli anticorpi». La politica, per esempio. Che «non deve valutare i fatti come la magistratura. Vanno osservati atteggiamenti e condotte che non sempre devono coincidere con condanne penali. Altrimenti, è chiaro che la politica decide di perdere una partita che la riguarda in prima persona".

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