Fonte: www.corrieredellacalabria.it

di Luca Latella

Il volto segnato dalla salsedine e dal sole e una gran voglia di continuare a lavorare. Protestano contro il “sistema” ma non chiedono nulla, se non la tutela dei diritti della pesca italiana in sede europea.

Al porto di Schiavonea, e poi in corteo sulla statale 106, si sono ritrovati per protestare pacificamente in centinaia, provenienti da diverse marinerie della Calabria e della Puglia: da Trebisacce a Cariati, da Manfredonia a Monopoli, passando per i “padroni di casa” di Schiavonea, la terza marineria più grande del Mediterraneo, e dal Tirreno. Per qualche ora nel primo pomeriggio di venerdì hanno occupato una carreggiata della 106 per manifestare tutto il loro dissenso verso quelle regole stringenti che non permettono loro di «campare». Come il regolamento sulla pesca applicato nel 2010 e che a distanza di nove anni ha portato sul lastrico tanti armatori, ma anche tantissime famiglie che, per esempio, a Schiavonea vivono da centinaia d’anni di pesca alla “sardellina”, l’oro bianco locale, oggi vietata. «Come può un burocrate di Bruxelles decidere che qui non possiamo più pescare la sardellina da dicembre ad aprile, come accade da secoli perché se ne teme l’estinzione? Sono mille anni che si pratica questa pesca, eppure la sarda sguazza ancora nelle nostre acque». Tante le considerazioni del genere raccolte lungo il corteo organizzato dai pescatori. Come quelle della delegazione di Molfetta. «Se si fermano i pescatori – raccontano al Corriere della Calabria – chiudono tutti: l’armatore, i cantieri, i meccanici, i metalmeccanici, i chimici e tutto l’indotto legato alla pesca. Tradotto: centinaia di migliaia di posti di lavoro in Italia. I governi, quello italiano e quello europeo, hanno compiuto due grandi errori. Il primo è quello di non aver tutelato, nell’ambito dei piani di gestione, il volano economico che deriva dal comparto pesca. E poi con queste normative fortemente restrittive ci hanno tolto tutto senza concedere niente. Dallo Stato non vogliamo nulla, solo poter lavorare e che difenda i nostri diritti». La questione, insomma, non sembra di facile definizione perché i mari che bagnano l’Europa sono molto diversi fra loro e, dunque, «non si può fare di tutta l’erba un fascio». «Se per il Nord Europa o l’Atlantico le maglie delle reti a 50 millimetri possono essere utilizzate – spiegano ancora – non si può dire lo stesso per chi opera nel Mediterraneo perché le “taglie” del pescato sono diverse. Noi qui non catturiamo merluzzi di due metri e quelle reti a maglie così larghe nel Mediterraneo non servono». I regolamenti dell’Ue, insomma, stanno favorendo «la scomparsa dei pescatori costieri, dei pescherecci e di famiglie che da generazioni vivono di pesca e dall’altra parte la crescita le multinazionali dell’import-export di quel pesce che noi definiamo “spazzatura”. Con quel genere di reti, dunque, non possiamo evadere la domanda di pesce ed essere competitivi. Il tanto sbandierato regolamento Ue porterà noi all’estinzione, non i pesci». La “battaglia”, probabilmente proseguirà nei prossimi giorni. L’intento dei pescatori è chiaro: far giungere la loro voce prima a Roma e poi a Bruxelles. 

Crediti