Fonte: Comunicato stampa

Due anni fa, come sindaci, ci recammo a Montecitorio per chiedere al Presidente del Consiglio Conte ed al Ministro Speranza provvedimenti concreti per la sanità in Calabria.

Presi parte alla delegazione che si confrontò direttamente col Governo e facemmo una proposta chiara: per azzerare il debito della sanità calabrese – di cui si parla in questi giorni – sarebbe stato necessario rivedere i trasferimenti dello Stato per la Calabria, senza fare regali ma bensì adeguando le quote pro-capite a quelle di altre regioni ed in particolare del nord. Sono ottant’anni che il sud non riceve lo stesso trattamento del nord del paese, limitandomi agli ordinamenti democratici nei quali il voto di un calabrese dovrebbe valere quanto quello di un romagnolo o di un friulano; sono ottant’anni che al sud non vengono semplicemente date le stesse possibilità del nord, e non parlo solo di trasferimenti. Sviluppare economia produttiva, per esempio, laddove insistono il triplo degli insediamenti statali, laddove insistono autostrade, strade statali e strade territoriali in abbondanza, che fanno il palio con stazioni ferroviarie attive ed aeroporti, è molto più semplice e queste condizioni sono determinate da investimenti statali continui, storicizzati, sistematici. In questo la Calabria detiene il primato delle penalizzazioni. Non ho tendenze ideologiche, né sono un nostalgico neoborbonico: amo l’Italia, tutta, la nostra storia, la repubblica costruita sulla resistenza dalle alpi alla Sicilia meridionale, e mi confronto costantemente con i colleghi di ogni regione, ma questi sono dati oggettivi. Si tratta di una situazione penalizzante non solo per centinaia di migliaia di cittadini del mezzogiorno, ma per l’intero Paese perché continua a riversare investimenti su un sistema produttivo saturo ed in parte insostenibile (per esempio sotto il profilo energetico), ovvero quello del centro-nord, senza valorizzare e “sfruttare” le titaniche potenzialità di sviluppo del centro-sud, dove si nascondono le vere capacità di crescita dell’Italia. È un contesto che andrebbe stravolto, quindi che un governo politico di medio spessore dovrebbe profondamente riformare, e che invece questa assurda proposta “calderoliana” non solo cristallizza, ma se possibile amplifica in senso peggiorativo. Si parte da un dato condivisibile, ovvero dal parziale fallimento della riforma del titolo quinto, per aggravarne ulteriormente le incongruenze e inefficienze. Si tratta di una idea di paese ben nota, ovvero a due velocità e con livelli di diritti, anche fondamentali, ben distinti da regione a regione, nella quale si continua ad investire dove si è già investito e non vi è più – di fatto – alcuna prospettiva di coesione territoriale. Si parla di anteporre a questa contro-riforma la standardizzazione dei livelli di servizio, ma questa standardizzazione – in linea con dettami costituzionali – esiste già e dovrebbe essere il presupposto e l’obiettivo di qualsiasi provvedimento governativo ed intervento normativo, non il “contrappeso” per un intervento che – evidentemente – procede in una direzione palesemente opposta. Quasi tutti tra governatori e parlamentari del mezzogiorno, trasversalmente, continuano ad assumere posizioni interlocutorie e pacate, evidentemente in grande imbarazzo per le posizioni assunte dai propri rappresentanti di governo o dai propri vertici di partito. Si tratta di posizioni inutili e senza alcun rilievo politico, assimilabili ad un silenzio che rischia di dare il colpo di grazia definitivo alle speranze di sviluppo e miglioramento della qualità della vita del sud Italia, quella speranza che si era flebilmente accesa grazie al PNRR. I rappresentanti delle comunità del mezzogiorno ad ogni livello hanno il dovere di uscire dall’ambiguità ed assumere una posizione chiara nei confronti di una proposta di riforma che rischia di deformare ulteriormente l’assetto del Paese, al pari di tutte le forze politiche e sociali. La nostra Amministrazione lo ha già fatto.

IL SINDACO FLAVIO STASI

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