Categoria: Politica
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Come sapete, il 20 e 21 settembre p.v., si voterà il Referendum Costituzionale per la riduzione del numero di parlamentari, noi di Rifondazione Comunista voteremo NO al referendum

avente ad oggetto la conferma o meno della legge costituzionale approvata dal Parlamento riguardante la riduzione (molto drastica) del numero dei parlamentari, senza prevedere, tra l’altro, alcuna differenziazione di funzioni tra Camera e Senato. Demagogia populista diffusa, soprattutto dal M5S a piene mani con la meschina motivazione di risparmi di spesa, peraltro modestissima. E’ un referendum costituzionale, in cui non è previsto il raggiungimento del quorum per la sua validità. Conta, dunque, moltissimo il numero di persone che andranno a votare NO, perché l’esito, che oggi appare scontato, potrebbe comportare qualche piacevole sorpresa, se non altro nelle dimensioni. La centralità del Parlamento è messa in discussione sia dalla cosiddetta “autonomia regionale differenziata”, la cosiddetta “secessione dei ricchi”, sia dalle pulsioni presidenzialiste, fortissime a destra ma presenti anche nel centrosinistra e sia dalla proposta di legge elettorale. La quale, allo stato attuale, prevede una torsione maggioritaria e una soglia di sbarramento così alta da configurare una “democrazia a numero chiuso”. Istanze critiche e minoranze vengono espulse dai percorsi istituzionali e dalla rappresentanza. La riduzione del numero dei parlamentari è la metafora di un Parlamento ridotto a tre o quattro partiti. Di seguito formuliamo alcune ragioni per dire No a questo furto di democrazia.

Territori senza eletti - La riduzione dei parlamentari lascerà per sempre senza rappresentanza molti territori che oggi o eleggono almeno un parlamentare o hanno possibilità di eleggerlo, e, quindi, talvolta riescono ad eleggerlo e talvolta no: valli alpine, contrade collinari di borghi che non si raccolgono attorno a una media città, ma al più a una piccola cittadina, isolate zone appenniniche, in generale province o parti di province non densamente popolate rispetto ad altre. Questi territori tenderanno a divenire politicamente marginali, saranno colpiti dai tagli, in luogo dei territori rappresentati e beneficeranno di minori spese rispetto a territori vicini, che invece troveranno tutela nei loro rappresentanti. I cittadini che li abitano si sentiranno impotenti, abbandonati e, alla resa dei conti, cittadini di livello inferiore. Addirittura intere province con poca popolazione, anche se di grandi dimensioni, potrebbero non riuscire ad eleggere un senatore. Peraltro, non sono soltanto i cittadini dei territori demograficamente marginali a dover votare “NO” per difendere i loro interessi. Non è giusto, infatti, che i cittadini che vivono inurbati e che continuerebbero ad eleggere rappresentanti in Parlamento, si disinteressino egoisticamente dei tanti cittadini che vivono in aree non densamente popolate.

Un regalo alla “Casta”: i cittadini condannati a scegliere il “meno peggio” - Gli italiani non stimano i partiti attuali, i cittadini votano i partiti turandosi il naso, considerandoli soltanto meno peggiori di altri partiti. I cittadini spesso votano contro partiti e contro leader politici, invece che per convinta adesione e stima dei partiti e dei politici che immeritatamente premiano con il voto. Tutti attendono che la politica italiana sia sconvolta da qualcosa di nuovo, di valido, di storico. Tutti siamo convinti che il sistema di formazione e selezione della classe dirigente sia saltato e che l’attuale classe dirigente sia di qualità modestissima, oltre che espressione di una vera e propria “Casta”. Nella sostanza un “Partito Unico” portatore di interessi elitari, lontani dalle vere esigenze dei cittadini. Una “Casta” che nel corso degli ultimi decenni ha programmato e realizzato una serie di riforme destrutturatrici del nostro impianto costituzionale, perdipiù rendendo sempre più difficoltosa la partecipazione dei cittadini all’attività politica al di fuori delle formazioni espressione di quel “Partito Unico” al potere. La speranza che molti italiani hanno riposto nel M5S, palesemente dimostra che il Paese ha bisogno di nuovi partiti che siano realmente popolari, quindi portatori delle istanze dei ceti più deboli, da troppo tempo non rappresentate in Parlamento. Ebbene, con la riforma, pur lasciando inalterata la soglia di sbarramento al 3%, di fatto sarebbe necessario, per una nuova forza politica, raggiungere, nelle diverse circoscrizioni, percentuali oscillanti tra il 5% e il 9%. In tale prospettiva il taglio dei parlamentari, presentato come una misura “anti Casta” volta a colpire i privilegi di una classe dirigente elitaria, corrotta, incapace, responsabile dell’attuale degrado della politica e del Paese, finirebbe paradossalmente per blindare in Parlamento proprio la “Casta”, ovvero i responsabili di tale condizione. La riforma, in definitiva, agevolerebbe le formazioni politiche più potenti, che dispongono di ingenti risorse finanziarie, controllano i media, monopolizzano le campagne elettorali, rendendo estremamente più improbabile l’emersione e l’avvento in Parlamento di nuove formazioni politiche sinceramente ispirate ai valori costituzionali, espressione delle esigenze popolari, lontane da interessi lobbistici.

Un Parlamento sempre più scadente - L’analisi del quadro politico attuale è impietosa e sconfortante anche sotto un altro punto di vista, oggi non esistono o non sono rappresentati in Parlamento, veri e solidi partiti, con una lunga storia e idee ferme, con un collaudato sistema di formazione e selezione della classe dirigente. I partiti attuali sono centri di potere nazionale che negoziano con centri di potere locale, disponibili a spostarsi da un partito all’altro. I centri di potere nazionale conferiscono i simboli ai centri di potere locale, più o meno vaste reti clientelari, gruppetti di persone, sprovvisti ormai anche di sedi, ma in grado di muoversi sul territorio, di ramificarsi nelle contrade e nei quartieri cittadini e di far apparire che sia presente ciò che in realtà non esiste. Questa situazione, che si protrae ormai da lungo tempo, ha generato una classe politica parlamentare mediamente pessima. I parlamentari particolarmente intelligenti, o particolarmente laboriosi, o particolarmente capaci di studiare e risolvere problemi sono oggi pochissimi. Molti sono, invece, i mediocri. Orbene, una riduzione di un terzo dei parlamentari comporterebbe, al più, una proporzionale riduzione sia dei (già pochi) parlamentari bravi, che dei parlamentari inutili, cioè quelli tali ritenuti perché privi di laboriosità, capacità di studio e comprensione, o di particolari conoscenze tecniche. Dinanzi alla modesta soddisfazione di veder diminuire il numero di “fannulloni” e “buoni a nulla” che si fregiano del titolo di Onorevole o Senatore, starebbe l’oggettivo svantaggio di ridurre e indebolire il già esiguo numero dei parlamentari bravi. Dare preferenza alla soddisfazione di veder ridurre il numero degli onorevoli “cialtroni”, a costo di indebolire il Parlamento, è una scelta che, se fatta consapevolmente, sarebbe chiaramente meschina e masochistica.

Antonio Gorgoglione (Segretario cittadino del PRC di Corigliano)