di Salvatore Martino

Nonostante si cerchi di dare rilievo, ogni anno, alla celebrazione della Giornata della Memoria, il rischio che essa si riduca a lontano ricordo di una tragedia che sconvolse il mondo una settantina di anni fa, è del tutto è evidente.

Col passare del tempo, e con la scomparsa delle ultime vittime di quella orrenda grande tragedia, il filo del ricordo diventa sempre più sottile, e affidare il compito di perpetuarne la memoria a produzioni cinematografiche e televisive non basta, come non bastano più le tavole rotonde e gli incontri rievocatori.  In una società come la nostra, che vive negli anfratti del presente, lacerata dalle divisioni e dalle incomprensioni, incapace di fare unità attorno ai valori che giustificano lo stare insieme all’interno della stessa società, come possono riscuotere credito i tanti discorsi sull’Olocausto, che si stanno tenendo, in questi giorni, in giro per l’Italia? L’impegno serio da mettere in cantiere non riguarda solo la rievocazione e la condanna di quelle orribili vicende, ma anche la dimostrazione che esse appartengono ad un passato e ad una cultura che non hanno più nulla a che fare col presente, e questo, credo, sia un po’ difficile da dimostrare, a causa del turbolento ed esagitato clima sociale che stiamo respirando. Se non si vuole scadere nella retorica e nella ipocrisia, se si vuole che quanto accaduto non debba veramente più ripetersi, occorre che il rispetto per l’uomo e per i suoi valori tornino, in maniera inequivocabile, di moda, e diventino l’obiettivo prossimo da realizzare attraverso percorsi educativi e formativi da attuare, innanzi tutto, nella famiglia e nella scuola. Altrimenti, il pericolo che quelle nefandezze, che hanno coperto di vergogna il genere umano, si possano ripetere non è solo possibile ma, forse, in forme diverse, stanno accadendo di nuovo, e in tanti nicchiano, facendo finta di non accorgersene.

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