"Un mare di ricordi"

Racconto dedicato ai pescatori che hanno dato la vita al mare

di Chiara De Simone, Francesco Suma, Martina Abbruzzese (*)

 

PROLOGO

Com'è lontano il mare

com'è vicino il mare

quel mare che mi ha lasciato partire

accompagnandomi con la sua marea

verso terre da conoscere

straniere e senza porto.

Com'è lontano il mare

com'è vicino il mare

che aspetta la risacca

per vestirmi delle sue lacrime di gioia

in attesa del ritorno.

Com'è lontano il mare

com'è vicino il mare

quel mare di anima e cuore

che gelosamente

porto nel tempo con me

per amarlo ancora di più.

(Amore Geloso,Bruno Sportelli)

L'acqua batte violenta sul ponte di prua infiltrandosi con prepotenza tra le travi lignee e vissute del battello, ormai lasciato dai suoi strumenti in balia dell'ingordigia furia delle acque. Esse ingoiano tutto ciò che da quella sfortunata barca ha la sventura di precipitare. Dalla barca, sbattuta tra le onde, vengono scaraventati nelle acque nere anche i pescatori.

Essa, inanimata com'è, somiglia a un anziano signore ormai impotente alle avversità che un tempo avrebbe potuto attraversare con impeto.

«Chiudete quel dannato motore!», strilla Giuseppe.

L'unico a riuscire a muoversi in quel caos è Franco, il più esperto dopo Peppe, anche se ha solo diciannove anni. Si muove verso il motore, lottando contro le raffiche di pioggia e vento, che con la loro violenza creano un fragoroso e martellante suono sulla barca.

Si sente la voce di Pietro a tratti coperta dal frastuono delle onde: «Fratellone?! Ho paura!». Antonio si accinge a raggiungere il fratello facendosi scivolare con prudenza sul ponte bagnato. Avendolo raggiunto, lo rassicura dicendo: «Non preoccuparti, andrà tutto bene. Ci penso io». Afferrata una corda ne lega un’estremità alla vita di Pietro e l’altra ad un appiglio alle sue spalle. Nel mentre le intemperie del mare aumentano di intensità, si fanno sentire ancora e ancora. Le onde, sempre più grandi e violente, si infrangono sui versanti del battello, che ormai in balia di esse oscilla e quasi si rovescia.

Fra scrosci violenti di pioggia e vento, Antonio viene scaraventato in pasto alle onde fameliche. Lotta con tutte le sue forze contro le onde. Stremato, mentre le acque gelide lo avvolgono, si sente assalito da un forte senso di smarrimento e di estraneità verso quel mondo per il quale i suoi compagni stanno ancora lottando. Come ultima speranza, cerca conforto nel cielo volgendovi lo sguardo ma, intuendo di non poter ottenere aiuto, si abbandona a se stesso chiudendo gli occhi. Decide così di cercare nei suoi ricordi il conforto sperato.

*   *   *

Sentii la voce di mio padre, dolcemente grave come soleva essere, che cercava di destarmi dal sonno. «Svegliati!». Lo sentii ancora e aprii gli occhi; lo vidi seduto ai piedi del mio letto. Aveva un'espressione diversa dal solito, stavolta lasciava intravedere un'emozione d'attesa. Mi alzai senza far domande e mi preparai quanto più in fretta potei. Quel giorno sarebbe stato il primo dei tanti che avrei trascorso in mare in quanto mio padre, veterano della pesca, stava per insegnarmi l'arte di andare per mare.

Mentre ci stavamo dirigendo verso la spiaggia mi voltai a guardare ancora una volta mia madre. La vidi sostare sull'uscio della porta di casa assieme a mio fratello minore e ci scambiammo un cenno di saluto. Ricordo com'era la nostra vita prima di quel giorno. A volte capitava che al ritorno da una dura giornata di pesca, mio padre discutesse con mia madre di vari problemi familiari che in quel periodo li preoccupavano. Sebbene già intuivo le difficolta della nostra famiglia, ad un bambino di nove anni bastava un po’ d'affetto che, malgrado tutto, non mi fecero mai mancare.

In quello stesso giorno mio padre iniziò a tramandarmi i suoi insegnamenti. Ce ne stavamo in una totale quiete ad aspettare che un qualche pesce abboccasse all'amo, mentre la barca dondolava dolce sullo specchio d'acqua. Io mi sentivo estasiato, finalmente ero pronto per capire ciò per cui mio padre avesse vissuto, o almeno così credevo. In quel momento ruppe il silenzio: «Sai, il mestiere da pescatore non è da paragonare ad altri. Forse è un peccato uccidere i pesci, anche se lo facciamo per vivere e per nutrirci. Di fronte a un pesce preso all’amo, bisogna impedire che esso si renda conto della sua forza e della possibilità di fuggire. A volte ci capita di voler essere come lui, con tutto quello che ha da opporre alla nostra intelligenza e alla nostra volontà. Ma grazie a Dio loro non sono intelligenti come noi, anche se li ritengo più nobili e più capaci. Malgrado ciò, però, per riuscire bene in questo mestiere bisogna amare quello che si fa e dare il massimo di sé».

Passarono un paio di mesi da quel giorno, nei quali ebbi l'opportunità di avvicinarmi sempre più a quel mondo che tanto mi incuriosiva e affascinava. Non potevo sapere che il mio tempo con lui sarebbe stato così limitato; difatti, un giorno, al posto di mio padre, arrivò a casa una lettera, una dannata lettera che ci illustrava con poche parole scarne che mio padre era disperso in mare. Lo aspettai per molti giorni, rannicchiato sulla spiaggia, fissando il mare infinito com'era. Pensavo: "…è troppo grande per essere domato, forse mio padre non troverà più modo di tornare. Nessuno può controllare il mare".

Dentro di me crescevano due sentimenti discordanti: un odio verso il mare e, nel contempo, un’attrazione dettata a sua volta da una ragione che non capivo ma che mi spingeva a volerlo scoprire sempre più. Un giorno decisi di soffocare quest'ultimo sentimento. Presi una decisione che a molti potrebbe sembrare drastica: dire addio a ciò che poco tempo prima mi appassionava.

Passavo gran parte del mio tempo ad osservare le persone che, invece, vivevano per il mare ed erano felici di farlo, mentre io gli attribuivo la grande colpa di avermi strappato il padre. Ricordo ancora come era ammirare i marinai nel loro lavoro. Prima che fosse giorno chiaro solevano gettare le esche per poi lasciarsi trasportare dalla corrente. Le esche pendevano a testa in giù col gambo dell'amo inserito nel pesce esca, legato e fissato alla sua parte ricurva che era ricoperta di sardine fresche. Non c'era parte dell'amo che non sarebbe risultata saporita per una bella orata. Ogni lenza era fissata ad un bastoncino instabile in modo che ogni volta che l'esca veniva tirata o sfiorata da un pesce il bastoncino cadeva, ad avvisare che qualcosa avesse abboccato. Tutto sembrava un rito, che si svolgeva in un silenzio quasi mistico; tra i marinai più incalliti correva il detto che fosse considerata una virtù non parlare in mare, se non per necessità.

Trascorsi così gli anni a venire della mia infanzia e, senza rendermene conto, entrai a far parte di quel mondo molto più di quanto mi aspettassi.

Crebbi e, man mano, presi coscienza che dentro me ardeva una speranza irriducibile di vivere una vita legata al mare e al mondo della pesca. Decisi di intraprendere il mestiere del pescatore perché capii, anche, che alla nostra famiglia serviva una figura che le era mancata per troppo tempo, mio padre, e dovevo essere io a farlo, soprattutto perché mia madre stava andando avanti con l'età e non riusciva a provvedere da sé alla famiglia.

Ripresi il lavoro che già mio padre aveva programmato per me tempo addietro. Noleggiai una barca e vi collocai l'attrezzatura per la pesca. Un giorno, raggiunto il largo in solitudine, iniziai a pescare. Tirai l'amo quanto più lontano la lenza mi consentì e stetti ore a fissare quell'immenso specchio d'acqua che si estendeva oltre l'orizzonte. Attendevo di poter catturare la mia preda, ma in realtà riuscii a catturare solo dei vecchi ricordi: gli insegnamenti che mio padre mi aveva lasciato.

A quel punto capii: su una barca non è possibile sentirsi soli perché c’è sempre il mare che ti trasmette conforto col suo respiro e la sua brezza. A guardarlo così calmo e limpido mi resi conto che era sbagliato reputarlo ostile, era sbagliato ritenere una tale meraviglia della natura colpevole di omicidio. Capii finalmente cosa mio padre volesse dirmi quel giorno. A quel punto tirai via l'amo e tornai a casa privo di prede ma con il cuore in pace.

Al seguito di quel giorno mi dedicai con tutto me stesso a quel mestiere e diventai sempre più abile nella pesca. Affinai le mie tecniche e la pesca fu sempre copiosa, fino a permettermi una barca tutta mia e, così, diventato indipendente, mi avventurai sempre più a largo spinto dal desiderio di scoprire tutte le meraviglie che il mare aveva da offrirmi. Solo ora mi rendo conto che in quel periodo cambiai davvero, mi sentivo di nuovo vivo. Finalmente appagavo l'irrefrenabile sentimento che mi spingeva ad andare per mare. Iniziai a guardare tutto con occhi diversi. Devo ammetterlo: le sensazioni che mi suscitava il mare, la sua aria che mi entrava nei polmoni, le sue calme piatte e le sue tempeste mi resero una persona diversa, migliore. Il mare iniziò a essere la mia ragione di vita e iniziai ad apprezzarne ogni aspetto.

Durante una delle tante battute di pesca sentii il peso di un piccolo tonno che tirava facendo vibrare la lenza. La vibrazione aumentò mentre io tiravo e, finalmente, vidi il dorso azzurro del pesce nell'acqua e i fianchi dorati ancor prima di capovolgerlo nella barca. Lasciai filare giù la lenza e diedi un ultimo strappo violento con entrambe le mani, recuperai più di un metro di lenza e poi tornai a tirare più e più volte. Credevo di aver già sentito il suo cuore fermarsi quando spinsi l'asta una seconda volta. Continuando, mi accorsi di aver attirato l'attenzione di un gruppo di pescatori miei coetanei. Si avvicinarono e mi chiesero se fosse mia abitudine pescare in solitudine, al ché risposi che non mi sentivo solo perché ero appagato dal mio lavoro. Mi dissero che erano rimasti colpiti dalla passione che mettevo in ciò che facevo, dopodiché mi chiesero di unirmi al loro gruppo. Accettai: era un'esperienza che volevo provare. Probabilmente è da quel giorno che iniziò la nostra amicizia, anche se ci conoscevamo fin da piccoli. Iniziammo ad avventurarci per mare insieme e diventammo sempre più uniti. Usai questa occasione per introdurre nel mondo della pesca anche mio fratello minore, di quattordici anni, portandolo con noi.

Era un giorno qualunque o almeno così credevo. Ci incontrammo come al solito alle quattro di mattina e nulla sembrava dare l'impressione che qualcosa sarebbe potuto andare storto. Ci imbarcammo e poco dopo eravamo già a largo. Tutto era calmo e iniziammo a calare la rete da pesca. Qualche ora dopo il cielo iniziò ad annuvolarsi e divenne sempre più uggioso e scuro. Le acque iniziarono ad agitarsi, così decidemmo di tornare a riva poiché tutto lasciava presagire l’arrivo di una violenta tempesta.

*   *   *

Mentre un vortice d'acqua lo tira in profondità svaniscono i tanti ricordi di una vita. Si accorge che le forze lo stanno abbandonando e che sta lentamente sprofondando. Non ha intenzione di intraprendere un'inutile lotta contro il mare per restare a galla ma preferisce accettare il suo destino. "Non mi pento di aver intrapreso questa strada, anzi ne vado orgoglioso" pensa. Così si abbandona nel Suo abbraccio.

 EPILOGO

Era così piccola, piccola la barca

che ondeggiava laggiù nella baia!

Era così cortese, cortese il mare

che la invitava ad uscire!

Era così avida, avida l’onda

che la strappò alla costa.

Non immaginavano le vele maestose,

che la mia piccola imbarcazione

s’era persa!

(La Barca, Emily Dickinson)

(* Chiara De Simone, Francesco Suma, Martina Abbruzzese - IV A - Liceo Scientifico "Fortunato Bruno", Corigliano Rossano)

Crediti