di Salvatore Martino
Il discorso che Martin Luther King pronunciò il 28 agosto 1963 a Washington, in occasione della famosa marcia per il lavoro e la libertà, commosse mezzo mondo e sembrò prefigurare l’avvento di un’epoca nuova senza più barriere e discriminazioni. A cinquant’anni dall’assassinio del leader del movimento per i diritti civili degli afroamericani, avvenuto il 4 aprile 1968 a Memphis, di quel discorso e delle prospettive disegnate, a parte il ricordo sbiadito dal tempo, non è rimasto nulla.

Gli episodi di intolleranza che si stanno susseguendo, soprattutto, negli ultimi tempi, in Italia, in altri paesi europei e nel mondo nei confronti degli immigrati, di chi la pensa diversamente e di chi ragiona fuori dal coro, dimostrano che nella società è in atto un pericoloso processo di involuzione che si sta traducendo complessivamente in un arretramento di cultura e di civiltà. C’è un insorgere di egoismi che deve preoccupare e che non riguarda solo le persone ma anche gli stati. Quelle barriere che, una vita fa, sembravano essere state abbattute definitivamente, oggi sembrano risorgere in maniera ancora più preoccupante e porre problemi seri circa il futuro dell’umanità.
Martin Luther King sembra che sia morto invano, e quella frase divenuta poi famosa, proclamata a quella folla oceanica che cercava rispetto e dignità, dopo cinquant’anni, deve essere ripresa e urlata di nuovo a gran voce: I HAVE A DREAM! Con la speranza che quel sogno di pace, di fratellanza e di solidarietà universale che fu di Martin Luther King sia ancora dell’intera umanità.

Crediti