Intervista a Nicola Gratteri

Di Elvira Fratto (Fonte:  La Voce di New York)

 

Nicola Gratteri è uno dei magistrati più conosciuti della DDA, molto noto e stimato anche in vari paesi del mondo.

Impegnato in prima linea contro la ‘Ndrangheta (criminalità organizzata calabrese, che all’estero ha più ramificazioni della mafia siciliana), vive sotto scorta dall’aprile del1989. Dal febbraio 2014 è consulente della commissione parlamentare antimafia. Nell’agosto dello stesso anno è stato nominato Presidente della commissione per l’elaborazione di proposte normative in tema di lotta alle mafie. Dal 2009 al 2016 è stato procuratore aggiunto della presso la DDA  di Reggio Calabria per poi essere nominato dal Csm, nell’aprile dello stesso anno, Procuratore Capo a Catanzaro. Pubblico ministero in numerosissime inchieste che hanno riguardato la criminalità organizzata calabrese (una delle più famose resta l’operazione “New Bridge”, che in collaborazione con la polizia americana portò  all’arresto di 26 persone tra Italia e Usa). Insignito di numerosi riconoscimenti, in Italia e all’estero (Il 15 ottobre 2014 a New York gli è stato conferito il premio Civil Courage Prize dalla Train Foundation), ha scritto vari saggi insieme al Professore Antonio Nicaso. Le  domande riguardano i dibattiti sulla legalità nelle scuole, il  problema della diffusione  delle mafie all’estero, il caso Riina e la Cassazione, e la fine del fenomeno mafioso.

Lei, che viene a contatto con  il pubblico soprattutto attraverso i suoi libri e che ama andare nelle scuole per incontrare i ragazzi, anche e soprattutto da parte loro, che tipo di riscontro trova per quanto riguarda la sensibilizzazione all’argomento “mafia”?

“Intanto quella di parlare ai giovani andando a trovarli nelle scuole o nelle università, o anche attraverso la divulgazione con convegni, conferenze e trasmissioni televisive, libri, è una “ricetta di lungo periodo” perchè richiede tempo e pazienza, e i risultati si incontrano dopo anni. Questo ovviamente si può fare se si è credibili, se si ha una storia da raccontare, se si cerca di essere più coerenti possibili, perchè a noi adulti, quello che più manca, è la coerenza tra ciò che diciamo e ciò che facciamo. E allora la gente, le persone, i cittadini ma soprattutto i giovani, sono attentissimi a capire se si recita o meno, e allora io cerco di andare a parlare ai ragazzi e spiegare, spesso volutamente anche in modo crudo e asciutto, quali sono i problemi, qual è la verità dal mio punto di vista, il motore per cui i ragazzi prendano coscienza. Però poi, con gli anni, ho visto e vedo i riscontri a questo seminare. Perchè molti giovani magistrati  hanno deciso di fare i magistrati dopo che mi hanno sentito nel loro liceo, quando sono andato lì a parlare. Molti Comandanti, molti Capitani, Questori, Vicequestori, Direttori di carceri, hanno scelto di intraprendere quella strada dopo che hanno parlato con me, mi hanno incontrato, conosciuto. Frequentato. Quindi questo mi inorgoglisce e mi dà la forza di andare avanti e di dire che è un tempo ben speso, quello di andare a parlare soprattutto ai giovani. E in questo modo ritengo che sia sì, la strada più lunga, ma anche quella sicuramente più produttiva”.

Scendendo un po’ più nello specifico per quanto riguarda la ‘Ndrangheta, abbiamo visto come tante volte sia riuscita a conciliare perfettamente la tradizione e la ritualità con l’innovazione, soprattutto dal punto di vista economico  e di mercato. Citiamo soltanto l’escalation che ha fatto dal contrabbando di sigarette, ai sequestri fino ad arrivare al traffico internazionale di cocaina. Ecco, questo incontro tra vecchio e nuovo, tutto quello che concerne la ritualità nei giuramenti, delle “piume” al battesimo, come si concilia con l’innovazione dal punto di vista del mercato? Questa unione tra vecchio e nuovo possiamo considerarla come un punto di forza della ‘Ndrangheta?

 “Sicuramente sì, il punto di forza della ‘Ndrangheta è quello di tenere delle regole rigide, ortodosse e da rispettare, perchè serve a legare e ad avviluppare tutti gli affiliati. Mentre ad esempio, organizzazioni come la Camorra, che sono sempre meno stringenti sulle regole e sulla disciplina, tendono ad una sorta di “imbastardimento” di quella organizzazione criminale. Quindi c’è sicuramente un punto di forza, cioè il vincolo associativo, l’osservanza delle regole e poi, la grande forza del business, che oggi è il traffico internazionale di cocaina, che rende la ‘Ndrangheta molto credibile sul piano internazionale e in particolare temuta soprattutto dalle organizzazioni criminali sudamericane e anche messicane”.

 

 Perchè la Brexit rischia di favorire la ‘ndrangheta?

 

“Intanto le mafie, in genere, non hanno nella loro testa i confini. I confini sono un problema nostro normativo e mentale. Le uniche che si sono meglio integrate in Europa sono le mafie. Queste  hanno colto appieno l’Unione Europea. Per loro l’Europa è un unico Stato, si muovono tranquillamente tra Germania, Belgio e Olanda come noi ci muoviamo a Catanzaro. Abbiamo documentato spesso come alcuni trafficanti si muovono come se fossero in un unico Stato. Il problema della Gran Bretagna è un problema a parte perchè le leggi di questa  facilitano molti i riciclatori, facilitano molto gli evasori; c’è una legislazione molto favorevole, quasi anonima delle costituzioni delle società, e la grande difficoltà del contrasto alle mafie in Inghilterra dipende da tanti fattori. Uno fra tutti, il fatto che in Inghilterra ci sono 44 Polizie diverse, quindi la cosa più difficile è capire quale Polizia sta facendo quelle indagini”.

Qual è la linea di confine che separa il diritto a una morte dignitosa dal merito di una morte dignitosa? La vicenda di Salvatore Riina degli ultimi giorni ha scatenato non poco scalpore, anzi, da un lato mi sono resa conto della positività della cosa, perchè mi sono accorta che la gente oggi è fortemente legata al ricordo delle stragi del ‘92, ma dall’altro lato mi chiedo: come si fa a rapportarsi razionalmente a un evento del genere e soprattutto, chi è ancora oggi Totò Riina?

“Intanto dobbiamo dire che questi detenuti al 41 bis anziani – ci sono anche tanti ‘ndranghetisti al 41 bis -, stanno in un Centro Clinico Carcerario, che non è proprio un carcere, è un ospedale con le sbarre fuori. Lei pensi che Riina, mentre noi stiamo parlando, oggi, sarà visitato due volte, la mattina e il pomeriggio. C’è un medico presente 24 ore su 24 nel carcere con 3 infermieri, e ha una stanza doppia rispetto agli altri detenuti. Pensi che Riina tre anni fa ha avuto un infarto e si è salvato perchè lì c’era subito disponibile un defibrillatore. Se Riina fosse stato latitante o fosse stato a casa, sarebbe morto d’infarto. Quindi, dal mio punto di vista, non esiste assolutamente il problema di una morte non dignitosa, di uno che è in carcere condannato a diversi ergastoli e che viene curato meglio che in alcuni ospedali della Calabria. Lo spirito del 41 bis è stato quello, dopo le stragi, di evitare, di impedire che i detenuti al 41 bis potessero comunicare all’esterno messaggi di morte. Quindi per il 41 bis non stiamo parlando di recupero, di reinserimento sociale o di rieducazione della pena, stiamo parlando di una norma creata per creare una ghigliottina, per evitare che si comunichi con l’esterno. Riina oggi, dal mio punto di vista, ha ancora potere perchè poco tempo fa, due uomini di Cosa Nostra, hanno detto, prima che morisse Provenzano: “fino a quando sono vivi Provenzano e Riina, non possiamo cambiare Cosa Nostra”. Ergo, ancora hanno potere, aveva ancora potere Provenzano, ancora ha potere Riina. Il fatto stesso che è vivo, il fatto stesso che non ha collaborato, nella logica mafiosa merita rispetto. Il dato simbolico, se lui dovesse uscire dal carcere, sarebbe dirompente. A parte che ci sarebbe una processione a casa sua, ma è dirompente il messaggio che viene dato all’esterno. Si aprirebbe un’autostrada per tutti i detenuti al 41bis”.

Come si sono evoluti negli ultimi anni i rapporti tra ‘Ndrangheta e impresa negli ultimi anni? È ancora la mafia che cerca di entrare prepotentemente nei circuiti legali o sono anche gli imprenditori che per un fattore di convenienza lasciano entrare la mafia nei circuiti legali per riciclare il denaro sporco?

“La crisi terribile che abbiamo avuto negli ultimi anni ha facilitato le mafie a prendere a piene mani le imprese decotte, mettendo anche soci di minoranza per averne poi il controllo. Quindi la crisi economica ha facilitato molto le imprese mafiose, che sono quelle che hanno più disponibilità di denaro provenienti dal al traffico internazionale di cocaina. Quindi a un certo punto c’è un abbraccio tra l’imprenditoria pulita e l’imprenditoria mafiosa, c’è una cointeressenza”. 

Il Giudice Falcone diceva che la mafia, in quanto fatto umano e come tutti i fatti umani, avrebbe avuto una fine, prima o poi, così come ha avuto un inizio. Ma intendeva dire forse che sarebbe dipeso da noi e dal modo in cui ci relazioniamo  nei suoi confronti, negandole ogni consenso?

“Sicuramente è così. La fine della mafia dipende solo dagli uomini, dipende solo da noi, è ovvio. E soprattutto, più che dai mafiosi, più che dal contrasto che lo Stato impone, dipende dal consenso o non consenso che l’opinione pubblica dà alle mafie”.

 Lei qualche volta ha paura?

“Sì. L’importante è addomesticare la paura, saperla domare, perchè dobbiamo andare avanti e non abbiamo altra scelta che non quella di andare dritti per la legalità e per la tutela della collettività”.

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