Categoria: cultura
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I miei studi universitari a Trieste, dove ho conseguito la laurea in ingegneria, mi hanno offerto l’opportunità di venire a contatto con una realtà  culturale, al di là di quella professionale, che ha contribuito non poco a fare di me un cittadino della Mittel Europa.

Non dimenticherò mai gli “anni ruggenti” della goliardia. E una città come Trieste, punto d’incontro di civiltà e culture come la rigorosa austroungarica, e la dura slava, filtrate nella dolcezza della lingua  e della fantasia italiana ha lasciato il segno. Sono, appunto, un mitteleuropeo. E fu così che acquisii quella facilità di approccio con quel mondo europeo che mi ha accompagnato per il resto della mia vita, condizionando le mie letture,  le preferenze alimentari e, da non sottovalutare, le mie predilezioni affettive.  Fu perciò un legame duraturo, con quel mondo, che perdurò negli anni, dalle  fugaci avventure galanti fino al tardivo, felice e consapevole  epilogo che fu l’incontro con quella ragazza ungherese che diventò, poi, mia moglie. Dopo la laurea, tornai spesso a Trieste. In uno scorcio di quelle incursioni, colsi l’occasione di andare a fare il bagno allo stabilimento “la Caravella”, nella baia di Sistiana. Dire che il posto è incantevole è dir poco. Lì, a ridosso della roccia carsica, la lingua di terra che arriva fino  al mare è lambita dall’acqua ed è ricoperta da una morbida coltre di erbetta verde. L’atmosfera, già di per sè romantica, invita a favorire relazioni amichevoli.  Lì accanto, sdraiata a prendere il sole, una bellissima austriaca, si rigirava al sole, per fare incetta di tintarella di cui pavoneggiarsi al ritorno. Incominciammo a scambiarci qualche cortesia. Per fortuna lei parlava un po’ l’italiano, il che favorì l’approccio che io, tacitamente, stavo istruendo. Io le offrii una sigaretta, lei ricambiò con un cioccolatino e, siccome da  cosa nasce cosa, cominciammo a simpatizzare. Ma subito sopraggiunse la delusione: lei l’indomani rientrava in Austria. Fui costretto a ricomporre  i miei programmi rinviando il prosieguo dell’avventura ad una futura visita in Austria. Le chiesi di scrivermi il suo nome, e lei : mein Name ? Ed io, con simpatico invito all’ilarità : und “Cogname”. E con l‘elegante calligrafia  di cui sono dotati tutti gli austriaci, indice dell’importanza che, nelle loro scuole, è attribuita alla grafia, scrisse : Pauline Friesacher. Con un pudico sfiorarsi delle guance e una castigata stretta di mano, ci lasciammo, con  promessa di rivederci al più presto. Dopo pochi mesi, in occasione delle vacanze di Pasqua, inaspettatamente, mi recai nella sua città, Wolfsberg (Montagna del lupo), nel distretto di Klagenfurt, in Carinzia. Abitava in una decorosa villetta, con tanti fiori alle finestre e nel giardino antistante. Dall’esplosione di gioia con cui mi accolsero la madre, e la sorella, e il fratellino, capii che lei aveva dettagliatamente parlato di me. Dal suo caloroso bacio, poi, si capiva che la lontananza aveva giocato a favore delle mie strategie. Non credo di tediarvi se indugio sui modi con cui fu accolto, alla luce delle rivelazione di alcune abitudini e tradizioni di un popolo alquanto diverso ma, per molti versi, molto simile al nostro. Intanto la mamma si premurò ad invitarmi ad essere loro ospite e, dopo i convenevoli, mi fecero parcheggiare la macchina dentro il giardino e provvidero a scaricare il bagaglio. La mia stanza era ubicata nella mansarda, al piano superiore, accanto a quella di Pauline. Prima di sederci a tavola, per la cena, scambiando un po’ di conversazione, compatibilmente con la mia scarsa conoscenza del tedesco, la mamma, con molta serietà, chiese: Ernst, du Kommunist ? Ed io, con fare deciso : Nein, Frau ! E lei, con visibile soddisfazione : Gute, Ernst. Chiarite le nostre rispettive simpatie politiche, finalmente ci sedemmo a tavola. Fui, ospite gradito per una settimana. Intanto giravamo in macchina, io e Pauline, per conoscere la città, e non mancò di farmi vedere al cimitero, ubicato, come si usa in Europa, nel centro cittadino, la tomba del padre. Intanto, il fratellino, Hermann, che era in vacanza pasquale delle scuole elementari, doveva fare i compiti assegnati, per il che, un pomeriggio, prendemmo posto nel soggiorno e fui testimone della serietà degli studi in quel paese. Pauline verificò con  una serie di domande, la preparazione del fratellino ed io, intanto, davo un’occhiata al quaderno degli appunti di Storia, scritti con una calligrafia  impeccabile dove colorati in rosso, erano evidenziati i titoli e i termini più importanti. Mi colpì DER GUTE ALTE KAYSER (Il buon vecchio kayser) con evidente riferimento all’Imperatore Francesco Giuseppe. E quando Pauline lo tempestò di domande, Hermann rispose prontamente, con grande soddisfazione di Pauline. Il giorno di Pasqua la mamma preparò qualcosa di più riguardoso, e portò in tavola una zuppiera contenente il brodo di pollo con dentro la sferette di pasta bignè da lei preparata. Rimasi colpito dalla severa educazione impartita quando, dopo aver finito il suo piatto, Hermann, con garbati cenni del viso, educatamente, fece capire alla madre che ne avrebbe voluti ancora e, con visibile gioia, quando ottenne il consenso, Hermann si servì di nuovo affondando il mestolo nella zuppiera. Un giorno salimmo, io e Pauline, sulla vicina collina, da cui prende il nome la città, dominata da un castello legato alla triste vicenda di una principessa infelice. Ad un certo punto, mentre seduti su una panchina, ci scambiavamo qualche effusione, un fruscio tra la aiuole del parco attirò la nostra attenzione. E Pauline: Hermann !!!. Aveva capito che Hermann era venuto a spiarci. E ci fu il momento che Pauline mi presentò un suo vecchio corteggiatore, che era allievo dell’Accademia Militare a Vienna, venuto in licenza. Era un ragazzo impeccabile nella sua divisa di cadetto, con rigoroso taglio militare dei capelli. La sera andammo tutti e tre a cinema, seduti con lei al centro.  Per fortuna proiettavano un film comico che non faticai molto a capire per via della mimica. Era evidente che Pauline stava mettendo in atto un tentativo di strategia per farmi ingelosire. Ma questi escamotage hanno una valenza quando la persona da ingelosire è la vittima vocata al … martirio delle nozze. E nei miei confronti il tentativo si dimostrò inefficace, per il semplice motivo che io, di matrimonio, allora, non ne volevo sentire nemmeno parlare, ma non perchè Pauline non ne fosse meritevole. Semplicemente perchè, io, che di anni, allora, ne avevo trenta, mi ero programmato per un matrimonio intorno ai cinquant’anni, come in effetti avvenne, tantissimi anni dopo, pur sempre in quel brodo di coltura che è la MITTEL EUROPA.

 Ernesto SCURA