Categoria: cultura
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Quando ero studente d’ingegneria, a Trieste, a volte, condivisi la stanza, con Franco C, anche lui studente d’ingegneria.

Lo preferivo perché, sempliciotto com’era, non mi creava problemi, anzi agevolava le mie frequenti scorribande amorose, togliendo il disturbo tutte le volte che mi capitava di dover “ospitare” una ragazza. Politicamente eravamo agli antipodi, ma la cosa non mi procurava alcun fastidio. Lui leggeva il suo “Espresso”, allora diretto da Eugenio Scalfari, io “il Borghese, diretto da Leo Longanesi. La cosa, sotto certi aspetti, mi favoriva perché spesso io sfogliavo e leggevo quel settimanale criptocomunista che spalleggiava il PCI e l’Unione Sovietica, potendo così confrontare le “verità”… opposte. Lui, il mio Borghese, non l’ha mai nemmeno sfiorato con un dito. Cioè, io mi addestravo nel controbattere le tesi opposte e, magari, mitigare le mie tesi. Lui no. Prendeva per buono solo ciò che predicava quel Vangelo. E così per lui l’intervento sovietico in Ungheria era una meritoria opera a difesa della Democrazia, e il volo di Gagarin nello spazio era la scontata conferma della supremazia tecnologica del comunismo nei confronti del mondo capitalista incapace di raggiungere certi risultati (salvo poi dover ammettere che l’odiato sporco capitalismo mandava il primo uomo sulla Luna). E nel “paradiso” sovietico l’operaio guazzava nel benessere e il ritmo del lavoro era scandito dalla norma che garantiva il metro della remunerazione (e poi si scoprì che la “NORMA” stabiliva il minimo di resa nel lavoro, al disopra del quale si aveva diritto ad una qualche miglioria nella retribuzione, salvo che, poi, quando tutti si sfiancavano a superare quel livello di rendimento, la norma veniva modificata con valori più alti, dal momento che, se tutti erano capaci di quei risultati, voleva dire che erano ancora da raggiungere i risultati ottimali della prestazione umana). Ma, con le donne, Franco era un imbranato. La volta che uscì con Jole, era al settimo cielo. Non vide l’ora di raccontarmi tutto ciò che aveva fatto. “Jole ha delle gambe con una pelle liscia e vellutata, figurati che sono risalito con le mani fino alle giarrettiere”. Allora non c’erano ancora i “collant” ma le calze, ormai non più di seta ma di nylon, sostenute dalle giarrettiere posizionate nella parte alta delle cosce. Allora, Franco, tu non hai accarezzato la pelle di Jole, hai semplicemente lisciato le calze di Jole ? E, si, hai ragione, erano le calze. Ecco,questo era Franco, e si può capire con quanta ingenuità prendeva per vere le prese di posizione de l’Espresso. E non vi dico quando si toccava l’argomento razziale che, se per noi era un dovere civile e morale essere schierati a difesa di negri, ebrei e terzo mondo, per lui era un vero e proprio impegno politico essere quotidianamente sulla barricata di un oltranzismo a volte non richiesto e nemmeno necessario. Il tutto, è chiaro, in funzione anti americana, come comandava Dio Espresso. E se quel settimanale, intraprendeva la battaglia contro le sofistificazioni alimentari, lui cominciava a sentir mal di stomaco solo per addebitare all’olio di semi ottenuto da dubbie estrazioni, come l’olio di colza che, se vogliamo dirla tutta, mentre in Occidente era ufficialmente vietato, nei paesi dell’est era ufficialmente prodotto, venduto e consumato. Ma Franco non lo sapeva perchè l’Espresso non glielo diceva. E se lo smog annebbiava Milano, lui, pur trovandosi a Trieste, dove la bora ripuliva continuamente l’aria, non mancava di accusare sintomi di intasamento polmonare dovuto a perfide esalazioni causate dai malvagi padroni di fabbriche avide di guadagno, guardandosi bene dall’individuare la causa nelle venti sigarette al giorno che  fumava. Bene o male, questi confronti finirono con la fine degli studi. Subito dopo la laurea ci concedemmo un viaggio a Copenaghen, anche per avverare un sogno a lungo accarezzato : Andersen, e la Sirenetta, e le bionde vichinghe, e le disinibizioni, e la tolleranza. Attratti dalla locandina di un cinema, dove si proiettava un film che, da come si capiva, sembrava a luci rosse (da noi la censura proibiva nel modo più assoluto simili “sconcezze”) decidemmo di entrare. Prendemmo posto e subito capimmo che il film non era affatto osè ma, addirittura, castigato. Io già cominciavo ad annoiarmi e studiavo una via di fuga non facile, visto che lì, una volta entrati, si chiudevano le porte per tutto il tempo di proiezione. Il problema di Franco, invece, fu un altro. Subito cominciò a manifestare segni di insofferenza perchè il negro che gli era seduto a fianco, emanava un “insopportabile cattivo odore”. Stentai a crederci e, cercai di annusare l’atmosfera dalla parte del negro. Sinceramente non avvertii nulla che mi facesse nauseare più di quanto mi proveniva dal danese che mi stava a lato. Era Franco che, una volta messo alla prova, ebbe una repulsione per tutti i “volemose bene” di cui si era nutrito fino a quel momento.  Individuammo al buio la sagoma di chi doveva essere la “maschera” e riuscimmo a fargli infrangere la norma vigente che non consente nelle sale di entrare o di uscire durante la proiezione, per non disturbare gli altri spettatori. Una volta fuori io mi ripresi dal tormento procurato dal dovere assistere ad uno stupido banale film, Franco ebbe l’opportunità, una volta tanto, di fare i  conti con le sue stupide sfide antirazziali. È proprio vero che al mondo c’è  CHI PREDICA BENE E RAZZOLA MALE.

 Ernesto SCURA