Categoria: cultura
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(pubblicato sul quotidiano  “il Giornale” del 30 Novembre 2020)

Esiste una ormai stucchevole disputa sulle responsabilità di Vittorio Emanuele III in merito alle disastrose conseguenza dell’armistizio, annunciato l’8 Settembre del 1943, con ritardo di 5 giorni, dalla firma avvenuta segretamente il 3 Settembre.

Ma, come sempre, la genesi dei disastri storici è da ricercare più che nella cause occasionali, nella causa delle cause che generano un evento storico.  E, pertanto, ritengo scellerata quella  soluzione di richiedere un armistizio, almeno  con quelle modalità, nella terribile situazione di un’Italia già “occupata” dai tedeschi,  al nemico ormai anch’esso “occupante”. È talmente ridicolo dichiararsi perdente al  più recente occupante nel momento che l’occupante “alleato” non è ...d’accordo. Prima dell’8 settembre, data della divulgazione dell’armistizio, in data 3 Settembre fu sottoscritto l’atto di resa “incondizionata”, preceduto da una penosa richiesta di resa che non fu accettata nella formulazione del Generale Giuseppe Castellano poichè sia il generale Bedell Smith che il suo superiore Eisenhower pretesero l’impegno scritto del capo del governo, Badoglio. Il quale Badoglio, con l’ipocrita tergiversazione che lo contraddistingueva, cercava di evitare un suo coinvolgimento scritto sull’infamante e vergognosa resa, fino a quando non dovette cedere alla richiesta alleata che esigeva quel documento, senza il quale non potevano dare valenza diplomatica a quelle trattative e minacciarono di esser pronti a far partire 600 aerei da bombardamento, destinati sul cielo di Roma, che avrebbero provocata una devastante distruzione.  La minaccia ebbe l’effetto sperato. E il telegramma di Badoglio che delegava Castellano a trattare la resa arrivò giusto in tempo a non far decollare quegli aerei.  La chiave di tutta questa ridicola sequela di scenette da operetta, sfondo scenico di quei disastri va, doverosamente, cercata a monte. Bisogna risalire al primo atto dell’operetta : il 25 Luglio del 1943. Personaggi e interpreti: Vittorio Emanuele III, Re d’Italia; Il Cavaliere di Gran Croce Benito Mussolini, capo del governo italiano; Il generale Pietro Acquarone, ministro della Real Casa; E, in penombra, non attrice, ma giudiziosa osservatrice, la Regina Elena. Scenario : Villa Savoia, a Roma, Residenza della famiglia reale. Ecco, ci sono tutti gli ingredienti per una gustosa operetta da “fine ottocento” Mussolini viene ricevuto da un Re in preda al panico che gli crea la situazione ben tragica dell’Italia già invasa dal nemico che ha messo piede sul suolo patrio. È un Re che medita una resa al nemico, nella speranza di  evitare il crollo della dinastia, del resto già compromessa. Nello studio in cui viene ricevuto Il Duce c’è, nascosto sotto una scrivania, come in una esilarante gag comica, l’intrepido e coraggioso generale Acquarone, pronto ad intervenire, “pistola in pugno”, in difesa  del Re, nell’assurda ipotesi che Mussolini dovesse “reagire”. Ma lasciamo parlare la testimone più attendibile di quella squallida vicenda, la  Regina Elena, come lei stessa riferisce in una intervista del 1950 : “Attraversavo l’atrio quando Mussolini arrivò. Andò incontro a mio marito che disse Caro duce, l’Italia va a tocchi...il resto mi fu riferito dalla Iaccarino, mia dama di compagnia, testimone auricolare, impossibilitata a muoversi, trovandosi, per caso,  in una saletta attigua. Mio marito aveva perso le staffe e urlò a Mussolini che lo destituiva sostituendolo con Badoglio.. Il colloquio era durato meno di venti minuti. Subito dopo Io e la Iaccarino dalla  finestra vedemmo Mussolini che mosse qualche passo nel giardino ma fu fermato  da un ufficiale dei carabinieri seguito da soldati armati che l’obbligarono a salire su  di un’ambulanza, già da tempo parcheggiata, in attesa di accogliere il prigioniero. Mi sentivo ribollire e, appena avuto contato con mio marito : Se dovevate farlo, gli  gridai a piena voce, indignata, questo doveva avvenire fuori casa nostra. Quel che  avete fatto non è un gesto da sovrano. Mio padre non l’avrebbe mai fatto”. Suo padre era il Re del minuscolo Stato del Montenegro. Non aveva, è vero, il  titolo di “Imperatora” ma, in compenso, non veniva neanche soprannominato “Sciaboletta”, e non scappava su una “Corvetta” che si chiamava “Baionetta”. Tutti  ingredienti da ...”Operetta”. Ma,quel che più conta, non si sarebbe mai messo nelle mani di un personaggio come Badoglio.  Non a caso quella tragica vicenda originò un nuovo verbo nella lingua inglese: “to badogliate” che indica : «un'azione maldestra, ambigua, pasticciata, furbastra, venata di tradimento: qualcosa di molto italiano secondo i peggiori luoghi comuni sulla propensione agli intrighi e alla doppiezza».

 Ernesto Scura