1952. Nel vecchio centro storico di Corigliano, alle spalle della bellissima chiesa di Sant'Antonio, si snoda una serie di verdi colline tappezzate, in primavera, di un morbido tappeto erboso.

Era lì che, i pomeriggi mi rifugiavo, a studiare, durante l'ultimo anno di liceo, lontano da rumori molesti o altre possibili divagazioni. Uno di quei pomeriggi, sdraiato bocconi, poggiato sui gomiti, leggevo un canto del "Paradiso". Mi pare di ricordare fosse quello di Piccarda Donati, e mi immergevo nel misticismo, leggendo: "Uomini poi, a mal più che a bene usi fuor mi rapiron de la dolce chiostra. Iddio si sa qual poi mia vita fusi". Ma non arrivai ai limiti della commozione perchè un evento imprevedibile venne a conturbare quella mia poetica contemplazione. Sul bordo del libro che tenevo spalancato davanti agli occhi, fece capolino un animaletto verde facilmente confondibile con l'erba del prato. E non era un grillo. E non era una cavalletta. E non era nessuno degli insetti da me fino ad allora conosciuti. Il corpo, esile, nella porzione toracica, era delle dimensioni di un grosso fiammifero a stelo di legno con, al posto della capocchia, una grossa testa a triangolo con due grandi mostruosi occhi. La parte inferiore presentava un enorme addome, e due grandi ali coprivano la parte sottostante del corpo. Era munito di arti superiori ed inferiori, a mò di branchie spinose, veri tentacoli sproporzionati rispetto alle dimensioni del   corpo, con una specie di baffi, e antenne... E mi guardava, ed io lo guardavo, e mi incuriosiva, fino a quando non rimasi....terrorizzato. Con un salto si piazzò sul bordo del libro e, mantenendosi fermamente in equilibrio sulle zampette, cominciò un rituale che suscitò il mio iniziale sconcerto fino alla paura. Sollevava la testa verso il cielo e, contemporaneamente, spalancava gli arti superiori,  nel consueto atteggiamento liturgico del sacerdote officiante che, durante la messa, invoca  la protezione del cielo, e poi, sempre in atteggiamento mistico, abbassava le branchie congiungendone le estremità su cui poggiava la fronte, nell’identica postura del prete quando si raccoglie in preghiera durante la celebrazione della messa. Ed il rituale fu ripetuto per più volte, ripetendo in modo impressionante quello del sacerdote officiante nella funzione religiosa. Restai agghiacciato. Io, che sono sempre stato un tiepido credente, io che non ho mai avuto un rapporto eccessivamente reverenziale con la Chiesa, io che non ho mai praticato l'Oratorio o la Parrocchia, e nemmeno le organizzazioni sportive dell’Azione Cattolica, e nemmeno le loro sale giochi istituite per attrarre i giovani agnostici ed indifferenti come me e, soprattutto, non ho mai militato nelle organizzazioni dei Boy Scout che probabilmente, una qualche 'infarinatura di entomologia ce l'avranno, rimasi fortemente shockato.: "Che non sia un segno del cielo, un ammonimento alla mia disordinata vita di scettico e, fors'anche, miscredente?" pensai. Velocemente, strappai un foglio di quaderno, ne feci un cono  e, vi feci cadere dentro quel mostriciattolo, senza nemmeno sfiorarlo e non mancai  di accartocciare i bordi, per evitare eventuali fughe. Scappai a casa. Cercai il mio vecchio testo di Scienze Naturali, nella parte Zoologia, e non sapendo da dove cominciare, dovetti sfogliare, pagina per pagina, tutto il capitolo insetti, facendo molta attenzione alle figure. Ma le figure non mi aiutarono, più di tanto. Fu, invece, una parolina, contenuta nei titoli, a disvelarmi l'arcano: RELIGIOSA. Con sorpresa trovai riportata anche, sebbene in bianco e nero, la sua immagine. Mi immersi velocemente nella lettura. Era la MANTIDE RELIGIOSA che prende, appunto, il nome, da quel falso rituale che tanto mi aveva scosso. Scoprii che, malgrado il pio e devoto nome, è uno dei più feroci insetti esistenti, e sto parlando   della femmina di questa specie, talmente violenta e spietata che, giá durante la fase di accoppiamento, comincia   a divorare il maschio, iniziando dalla testa, e terminando non prima che il  povero infelice abbia smesso di copulare e di   aver soddisfatto in pieno gli appetiti sessuali ed alimentari    della “femme fatale”. A conferma, per noi umani, che non è del tutto improprio il famoso detto : PERDERE LA TESTA PER AMORE. Anche se nel nostro  caso, il maschio, oltre alla testa, ci rimette, poi, tutto il corpo. Tirai un profondo, lungo, sospiro di sollievo e, confortato dall’ausilio di quel testo scolastico, rivelatosi provvidenzialmente il più illuminante svelatore di arcani, fui gratificato del più grande dei doni che il cielo poteva concedermi : non essere indotto, da insane suggestioni, ad..."adorare “ quel minuscolo mostruoso idolo quale apportatore di segnali divini falsamente interpretabili come segnali di volontà ...superiori. E fu così che avemmo un ingegnere in più ed un ....frate in meno.

Ernesto Scura

 

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