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TEMPI DI GUERRE - “TORTURE” E ...STORTURE

(Pubblicato sul quotidiano “il Giornale” del 31 01 2020 )

di Ernesto Scura

Da bambino, le vacanze estive le trascorrevo nel paese d’origine dei miei,Vaccarizzo Albanese,dove ebbi spesso occasione di ascoltare i favolosi racconti dei reduci della GUERRA D’AFRICA.

-FRANCESCO MARZULLO era stato volontario in Etiopia e,dai suoi racconti,nell’enfasi della conquista traspariva anche una larvata,meno eroica ed esaltante,realtà. Alla domanda: “È vero che ci sono miniere di metalli rari,,oro,diamanti?” La risposta, non aveva nulla del “Miles Gloriosus” : “Io non lo so.Io ho visto solo sterpaglie e cespugli spinosi”. E gli ascoltatori,delusi,cadevano in un deludente silenzio. -UMBERTO CUMANO,anche lui,volontario in Etiopia,non da semplice fantaccino ma come conducente di mezzi militari,ci raccontava : avevamo a servizio un abissino, molto svelto nell’accudire ai nostri bisogni, dal lavaggio degli indumenti,alla pulizia degli stivali e a rifornirci della preziosa acqua. Un giorno, acquistato un tenero agnellino,e dopo averlo sgozzato, scuoiato e privato delle interiora,lo cuocemmo su brace, allo spiedo,spargendo intorno l’invitante aroma. Al garzone,che partecipò,con noi,al festino,non facemmo mancare abbondanti porzioni di carne. Consumammo un pasto da signori e,poi,non rinunciammo a fare un po’ di siesta,non prima di aver raccomandato al garzone di fare le pulizie e interrare,più lontano possibile, le interiora dell’agnello. Quando ci svegliammo,ci si presentò agli occhi una scena orribile ed incredibilmente raccapricciante. Il giovane stava masticando,con cura,quelle interiora col contenuto di feci che,premute sotto la pressione dei denti, schizzavano fuori imbrattandolo e percolando ai lati della bocca. Gliele demmo di santa ragione. Qualcuno magari chiamerà tortura quella lezione impartita da noi italiani,in Etiopia,ma vorrei vederlo,“qualcuno”,ad assistere a quella scena di cui, per quanto mi riguarda,fummo impartitori di una lezione di civiltà,a dir poco, “encomiabile”.

 GUERRA DI SPAGNA.

-TONINO,un mio cugino,da poco laureato in giurisprudenza, nel 1938 si arruolò volontario per la guerra di Spagna,lascio immaginare con quanta disperazione da parte dei genitori. Quando tornò nel 1939,pernottò a casa mia,e raccontava,a mia madre,cose raccapriccianti,mentre io,ancora bambino, stavo ad ascoltare,attentamente : sacerdoti,a cui i miliziani   comunisti,dopo avergli tagliato le palpebre,infliggevano il martirio dell’esposizione ai raggi del sole,legandoli alla porta della chiesa. E frati,e suore e laici cattolici sottoposti a tortura con una ferocia inaudita prima di essere trucidati. La furia dei miliziani rossi non si fermò ai vivi ma si scatenò persino sui cadaveri dei religiosi morti che,dopo essere stati tirati fuori dalle tombe,venivano sistemati,in una innaturale e macabra posizione eretta,appoggiati ai muri delle chiese, dove erano tumulati,ed esposti al più vergognoso pubblico ludibrio. Mi sembrò così inverosimile che,forse,non gli diedi credito, per quanto può valere il credito di un bambino di sei anni. Il dubbio mi accompagnò tutta la vita fino a quando grande  Papa,Giovanni Paolo II,con encomiabile decisione,procedette  alla beatificazione di quei martiri,elencandone, con dettagliate descrizioni,il martirologio che,per alcuni,era : “privati delle palpebre e legati alla porta della chiesa...”  Erano le stesse identiche parole del buon Tonino,quelle che avevo sentito cinquant’anni prima,e non potei fare a meno di dovergli riconoscere autenticità e veridicità del racconto.

2ª GUERRA MONDIALE - ALBANIA

 TONINO,durante il 2º conflitto mondiale,richiamato alle armi, fu destinato in Albania e,tornato in licenza,come al solito,fu ospite a casa mia,dove pernottò. E mia madre,come al solito,gli chiese di riferire le impressioni ricevute in quell’antica nostra patria arbëresh. “Zia,ti devo deludere.Posso affermare che ormai,a parte la lingua,abbiamo ben poco in comune.Non la religione,non la cucina,non le consuetudini.Resta solo fierezza e portamento. Nel centro di Tirana,su di un grande spiazzo in terra battuta, c’è il bazar,una specie di mercato,oltre che punto d’incontro per affari,trattative e scambio di notizie. Usano,gli albanesi,starsene accovacciati,sulla nuda terra, uomini e donne,seduti a gambe intrecciate,a conversare e fumare come... turchi. Avevamo avuto disposizioni di eliminare quello sconcio da “Suk” di paese arabo ed invitarli a circolare. Un giorno apostrofai i componenti di uno di questi crocchi e una donna,stizzita per il diktat, mormorò,mentre assumeva di malavoglia la posizione eretta:“Cë të raftë Pika”,che altro non era se non una maledizione “ che ti possa colpire un fulmine”.E nella frase c’era tutta una carica di odio verso  chi interferiva su quelle loro abitudini secolari e consolidate. Esclamai “ Chi dev’essere colpito dal fulmine ?”. Rimase sconcertata e terrorizzata non immaginando che io capivo l’albanese e,raccolte le sue povere cose,si dileguò con molta fretta”. Questo succedeva negli anni 40. Oggi,alla luce dell’encomiabile livello di civiltà raggiunto dall’Albania,certi racconti ci sembrano fatti di mille anni fa. 

-SERAFINO CORRADO,anche lui arbëresh,fece servizio militare in Albania,non senza una punta di orgoglio di essere in mezzo alla sua gente,dopo un distacco di cinque secoli. Ma,ben presto,constatò che non poteva identificarsi con una realtà che non collimava più con le nostre consuetudini. E poi,più volte al giorno,all’ora delle preghiere,dal minareto che svettava a fianco della moschea principale di Tirana,un  muezzin intonava,con triste e dolente cadenza,la cantilena delle preghiere. Ricordando la gioiosa e scanzonata vita di Serafino,non mi meraviglio della “goliardata” di cui fu,allora,protagonista. Mi raccontava :”Non ne potevo più di quella lagna metodica e puntuale che intonava quel tizio.Un giorno non seppi più resistere e,mirando poco lontano dalla cima del minareto, sparai due colpi di fucile che,indussero,per il momento, l’officiante,ad interrompere il malinconico rito liturgico.. Le autorità religiose islamiche di Tirana,immediatamente, si rivolsero al comandante italiano della Piazza d’Armi,con la perentoria richiesta di individuare l’autore dell’attentato”  comminandogli una esemplare solenne punizione. E ll comandante diede assicurazioni che avrebbe fatto di tutto  per individuarlo ed impartirgli una durissima sanzione punitiva”. Ma, Serafino,ebbe complici tutti i commilitoni,nessuno dei quali disse di essere a conoscenza dell’autore del“sacrilegio”. E Serafino mi confidò che,più della punizione militare,temeva quella inesorabilmente cruenta dei musulmani che,una volta individuato,gliel’avrebbero fatta pagare ben più cara. In nome di Allah,s’intende.

 MORALE:

C’è sempre qualche anima candida che incolperà noi italiani di soprusi e sevizie e torture effettuate nei territori occupati. E pensare che durante la guerra,mentre da noi mancavano i generi di prima necessità,il governo italiano,agli albanesi, non faceva mancare,nemmeno il superfluo,cominciando dallo  zucchero fino al caffè,al cognac,e alle “Indispensabili” sigarette. Come lo so ? Ma non c’era militare che,tornando in licenza dall’Albania,non avesse lo zaino stracolmo di tutti quei generi e quelle leccornie che da noi erano spariti ormai da anni. Ma che “torturatori” gl’italiani ....

 

ERNESTO SCURA