di Ernesto Scura

Quand’ero bambino,fine anni ‘30 primi anni ‘40,a casa mia, ben custodita in un mobile chiuso a chiave,non mancava mai  una bottiglia dello squisito liquore “Maraschino di Zara” con  evidenziata la marca LUXARDO.

Da grande scoprii che era il  cognome della nobile famiglia che lo produceva in quel di Zara  dove si coltivano quelle preziose marasche,una specie di  ciliegie dall’aroma inconfondibile. Ed io,di tanto in tanto,scoperto dove i miei tenevano  nascosta la chiave,non mancavo di succhiare,attaccandomi direttamente alla bottiglia,un sorso di quel nettare. Poi,per diversi anni,quel liquore diventò introvabile,per via delle tragiche vicende legate all’occupazione comunista di Zara e di tutta la Dalmazia,da parte dei partigiani di Tito,che,senza indugi, procedettero alla “pulizia etnica” di cui,tragicamente,furono vittime i titolari della ditta produttrice,i fratelli LUXARDO. Nicolò fu buttato in mare,da una barca,e poi finito a colpi di remo. Pietro fu prelevato e fatto sparire in una delle foibe nei paraggi. Tito continuò a produrre il liquore col marchio  MARASCHINO. Qualcuno,con santa rassegnazione,dirà: “e vabbe’,era fatale che I ricchi pagassero il prezzo del nuovo ordine che il “Potere del popolo” stava elaborando a favore delle masse “oppresse”. I “ricchi” un corno,e “le masse oppresse” un  c.... L’odio dei titini,solo in parte era odio di classe.Per lo più era odio  antitaliano di cui fecero le spese intere famiglie di poveri italiani, in maggioranza modesti lavoratori e piccoli imprenditori. Un nome per tutti: MARCHIONNE.

Si,proprio lui,il compianto Sergio che ha rimesso in sesto la FIAT. ovviamente,non era ancora nato,e il nonno materno infoibato. E fu così che la mamma,Maria Zuccon,e il fidanzato,il maresciallo  dei carabinieri Concezio Marchionne,furono costretti all’esodo, insieme con decine di migliaia di Italiani,onde sfuggire all’inevitabile  eliminazione fisica. Molti si riversarono su Trieste,spingendo carretti o con mezzi di  fortuna,dove trovarono precaria accoglienza nei centri all’uopo  istituiti,tra pene,sofferenze e  ristrettezze,in attesa di sistemazione  in Italia o,all’estero (molti finirono in Australia).

Se vi capita di andare a Trieste,non mancate di visitare il famoso MAGAZZINO 18,nell’area del Porto Vecchio,dove sono tuttora conservate le misere suppellettili di quegli esuli che,nella lontana speravanza di poterle riutilizzare in una futura sistemazione nella loro,benchè ingrata,Italia,non immaginavano di doversi sistemare  in terre lontane. Io personalmente,che studiavo a Trieste,nei primi anni ‘60,ho un  ricordo indelebile di una di queste vittime,conosciuta,casualmente, appena due giorni prima che s’imbarcasse per l’Australia. Ci siamo disperatamente amati in quello scorcio di ore. Non potrò  mai dimenticarla,Maria Francin. E i suoi capelli biondi,i suoi occhi di  un intenso azzurro mare, il suo garbato e decoroso “tailleur” verde, forse da lei stessa confezionato,e le sue lacrime di rimpianto per la  sua Istria e,in fondo,anche per l’ultima ferita che,involontariamente, proprio io le stavo procurando,con un ulteriore doloroso distacco. Ma se facciamo un passo indietro,all’epoca dell’esodo di quelli che  si imbarcarono a Pola,con destinazione Ancona,veniamo a scoprire una realtà terrificante. L’accoglienza di certi italiani fu più mortificante del disprezzo a cui  furono sottoposti dai titini.

Allora,Tito,era ancora amico di Stalin,e di Togliatti,il quale giustificava in pieno il genocidio di Tito e la cacciata degli italiani considerati tutti, in massa,”fascisti” e,quindi, immeritevoli di qualsiasi sentimento di  accoglienza (e dire che erano cittadini italiani spogliati di tutti i loro beni,delle loro consuetudini,della loro cultura e feriti nella loro radicata  fede cristiana). Ad Ancona furono vittima degli sputi e degli improperi dei ferrovieri che li caricarono su un TRENO DELLA VERGOGNA composto di pochi  vagoni di terza classe (quelli con i sedili in legno) e di molti carri merci  su cui avevano sparso della paglia su cui farli sdraiare, e non videro  l’ora di dare il via al convoglio. Ma quel che successe nella stazione di Bologna,dove li costrinsero a sostare su un binario secondario, non in vista,rappresenta la più odiosa ripugnante e vergognosa manifestazione di odio cieco e velenoso della  totalità di quei ferrovieri,socialcomunisti,ferocemente sindacalizzati, ed istruiti dalla stampa di sinistra,abituati com’erano,a leggere l’Unità e  l‘Avanti,i loro vangeli,che in quei giorni non mancavano di accanirsi nei confronti di questi che definivano “fascisti” immeritevoli  di qualsiasi  forma di aiuto e di assistenza. Ma leggiamo un articolo,ripreso da internet,sui vergognosi fatti che accaddero nella stazione della rossa Bologna: “Il convoglio arrivò alla stazione di Bologna solo alle 12:00 del giorno seguente, quindi proprio martedì 18 febbraio. La Pontificia Opera di Assistenza e la Croce Rossa Italiana avevano preparato dei pasti caldi, soprattutto per bambini e anziani. Ma quando gli esuli erano quasi giunti nella città emiliana, alcuni ferrovieri sindacalisti diramarono un avviso ai microfoni, incitando i compagni a bloccare la stazione se il treno si fosse fermato. Allo stop del convoglio ci furono persino alcuni giovani che, sventolando la bandiera con falce e martello, iniziarono a prendere a sassate i profughi, senza distinzione tra uomini, donne e bambini. Altri lanciarono pomodori e addirittura il latte che era destinato ai bambini, ormai quasi in stato di disidratazione. A causa di questi atti vili fu dunque necessario far ripartire il treno per Parma, dove finalmente si riuscì ad andare in aiuto dei profughi ormai allo stremo delle forze. Da lì, ripartirono poi per La Spezia, dove furono temporaneamente sistemati in una caserma”. Ed ora fatemi raccontare la mia...”vendetta” che,peraltro,ha una involontaria connotazione satirica a cui, io,con una punta di falso orgoglio,attribuisco il merito di avere,probabilmente,ispirato il  regista de “I vitelloni” per la scena in cui Alberto Sordi sbeffeggia gli operai di un cantiere stradale con : “Lavoratori,Prrrrrrrr!!!!”

Mi trovai,allora studente,una notte,in treno,sulla tratta ferroviaria Bari-Bologna. Alla fermata di Ancona,scesi dal treno per sgranchirmi ed anche per cercare una fontana dove poter bere un po’ d’acqua (allora gli studenti non si permettevano il lusso di pagarsi nemmeno l’acqua minerale) e percorrendo quel marciapiedi secondario notai un ferroviere seduto su uno di quei carrelli a mano,che reggeva una lanterna di servizio. Gli chiesi garbatamente: “a che ora riparte il treno.?” E lui,con strafottenza ed aria di superiorità : “Quale treno,quello per Firenze,Milano,Venezia ,Capocchia... ? Quel “capocchia” mi sconvolse perché non mi aspettavo tanta maleducazione da un “servitore” dello Stato.Lì per lì rimasi come stordito,e non seppi replicare,stante l’evidenza che il treno,di cui chiedevo notizia era,unicamente ed inconfondibilmente,quello  che sostava a fianco di quel marciapiedi. Mi dissetai rapidamente ad una fontanella e rapidamente rimontai sul treno per paura che partisse . Mi affacciai al finestrino e guardai quel ferroviere superbo e insolente che mi richiamò alla memoria quelli del TRENO DELLA VERGOGNA. Fui colto da un “raptus” e vidi in lui uno di quei ferrovieri “aguzzini” che avevano maltrattato quegli infelici esuli (e non era da escludere che potesse veramente essere uno di quegli scellerati) e sussurrai, mentre il treno lentamente partiva,con un dolce soffio: ehi,ehi ! lui,scuotendosi,ancora mezzo addormentato,disse : Sì?

Ed io gli sparai una potente pernacchia,una di quelle di cui allora ero un vero specialista. Appena ebbe il tempo di rendersi consapevole di cosa succedeva,urlò: “Figlio di puttana,cornuto,miserabile...”ed il resto fu coperto dal rumore del treno che già era in corsa. Ma io rincarai la dose ricorrendo al gesto dell’ombrello mostrandogli l’avambraccio destro,col pugno chiuso,afferrato dalla mano sinistra. Lui,forte dell’assioma,allora in voga, che l’operaio è intoccabile e da rispettare,sempre e comunque (in Francia avevano coniato il detto “Sa Majesté l’Ouvrier” proprio per sbeffeggiare la loro malriposta “sacralità”) chissà come ci rimase male e chissà quanto amareggiato di non disporre del mitra che avrà probabilmente avuto  in dotazione  durante la lotta partigiana,quando fare fuori quelli che gli stavano sullo  stomaco,non costituiva reato. Per fortuna non erano più i tempi ed i luoghi (l’Istria invasa dai titini).

Ernesto Scura

P.S.

Quei ferrovieri,se di essi ancora qualcuno sopravvive,o i loro figli,o i loro nipoti,o i loro conterranei emiliano-romagnoli di inveterata fede bolscevica,rappresentano,ancora oggi,gli epigoni di un mondo che si  è autoriciclato nel “buonismo”odierno per cui,paradossalmente, tutti gli immigrati sono da accogliere,benevolmente e con amore fraterno,anche se tra di loro ci dovessero essere sanguinari terroristi o islamici per i quali,come detta il Corano,tutti gli infedeli,cioè tutti noi che musulmani non siamo) meritiamo la morte,anche nei modi  più spietati,qualora non ci convertiamo alla fede di Allah. E se sono italiani,maltrattati altrove o, Dio ne scampi, cristiani per lo più vittime,altrove,di maltrattamenti e persecuzioni ? Nessun trattamento di favore,l’accoglienza ignora la carità cristiana verso i confratelli,pertanto va data precedenza ai nemici di Cristo.

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